DAMMI SOLO UN MINUTO…

di - 22 Settembre 2009
La mostra rappresenta qualcosa che va oltre un semplice raggruppamento di lavori. È un messaggio trasmesso da una comunità di giovani artisti. In che termini si può definire questa comunità?
Ci sono tre tematiche diverse che incorniciano la visione su questa che giustamente hai definito una comunità. Fra i tanti filoni comuni che attraversano l’America, questa mostra si concentra su tre di essi: Street Punk, Wild Figuration e New Abstraction.
La sala a sinistra illustra il movimento punk, che in Usa lavora per le strade della città, esprimendosi generalmente attraverso assemblaggi e relazionandosi con la moda e la musica.
La sezione frontale esplora l’astrattismo con un nuovo approccio: artisti come Sterling Ruby realizzano lavori che sono una sorta di Rothko rivisitato attraverso lo stile graffiti di Los Angeles. È un approccio contemporaneo rispetto ai precedenti filoni astratti. Nelle ruote/pinwheels, primissimi lavori di Jim Drain e Ara Peterson, abbiamo invece una Op Art incrociata con Funhouse, Coney Island e altri. Tutta questa gente che si occupa di astrattismo offre una propria dimensione contemporanea, come l’influenza degli strumenti digitali, vedi i lavori di Cory Arcangel o Tauba Auerbach. È poi visibile una grande zona nella quale gli artisti sperimentano l’astrattismo. Tutto ciò rappresenta una parte della comunità.
L’altra sala contiene lavori che trattano la figura umana in maniera selvaggia. Ogni generazione ha il proprio modo di interpretare la figura umana: può essere idealizzata, concettualizzata o classica. Mariko Mori o Charles Ray proponevano modelli post-umani, dei cyber-corpi. L’approccio di questa nuova generazione è invece veramente mostruosa e selvaggia, una sorta di degrado realizzato con materiale recuperato al mercato delle pulci, dai b-movies o dai film horror.

Ho letto di una collettiva sui mostri che hai curato nel 2008. Quell’impresa si proponeva già allora di esaminare la reinterpretazione della figurazione nella produzione artistica underground di New York?
Sì, la mostra s’intitolava Mail Order Monsters. Ha aperto a Peres Projects di Berlino per poi approdare a Deitch Projects di New York e ha chiuso l’itinerario ad Anp di Atene. Era il mio tentativo di definire ciò che stava accadendo nella ricerca figurativa.

Che età hanno gli artisti in mostra a Roma?
Il più giovane ha 25 anni. La maggior parte degli artisti in mostra qui sono intorno ai trenta, ma il più grande è un giapponese del quale nessuno ha mai sentito parlare prima, a parte gli artisti che lo conoscevano perché rappresenta per loro una sorta di eroe. Potremmo definirlo un artista manga underground, che realizza quadri incredibili. Si chiama Yuichi Yokoyama e questa è la sua prima mostra. Ha 65 anni, vive a Tokyo. È stato difficile spiegare al museo perché ho deciso di pagare un traduttore giapponese per lui. L’idea era quella di dipingere l’intero panorama della scena artistica underground, che ha solidi legami col Giappone e San Francisco, Portland, LA, Philadelphia. Si mandano libri e zines per posta, usano internet costantemente per comunicare, stabilendo una collaborazione senza confini. Membri della musica noise giapponese e quelli della scena di Providence si sono spediti audiocasette per dieci anni, finché hanno formato insieme una corrente musicale underground. Una testimonianza di ciò è il membro del gruppo Lightning Bulb che è in mostra a Roma e che era un membro della principale band noise di Providence. Per riassumere, questa rassegna non presenta solo artisti che vivono a New York. Porta gente da tutta l’America, insieme a due artisti giapponesi.

Come s’incontrano gli artisti a NY e che tipo di collaborazione nasce?
Prendiamo l’esempio di A-Ron, Aaron Bondaroff, ventinove anni di Brooklyn, un artista che ha abbandonato gli studi al liceo e la cui vita naviga fra le sotto-culture del downtown Manhattan. Ha installato il suo shop al Macro e illustra letteralmente tutti questi tipi di interazioni e collaborazioni. Nello shop ci sono le zines underground, libri e prodotti. Porta tutto questo materiale in due sole valigie. Il suo lavoro è un esempio di come questi artisti interagiscono, come s’incontrano ed elaborano pensieri intorno a una bellissima litografia rimediata chissà dove o intorno a una zine regalata da qualcuno o acquistata in una libreria di Portland.

Nel 2006 un articolo sull’“Herald Tribune”, intitolato I Maestri 23enni
, parlava di artisti che avevano ottenuto successo da giovanissimi sulla scena artistica newyorchese. Contemporaneamente nel mondo dell’arte si sviluppavano dibattiti intensi in merito al fatto che artisti ancora all’università vendevano a cifre impressionanti. In questa mostra ci sono alcuni di quei nomi, come Dash Snow, che è recentemente venuto a mancare. Come hai cominciato a lavorare con questi artisti?
La prima mostra che ho curato è stata intorno a una zine proveniente da Portland regalatami da qualcuno. Avevano pubblicato solo dieci numeri e, guarda caso, presentavano proprio Keegan McHargue e Matt Leines, allora totalmente sconosciuti. Erano dei bambini. La mia reazione è stata: “È incredibile, venite a NY per una mostra!”. Loro hanno risposto: “Ma stai organizzando una mostra?”. Ho detto di sì anche se non era vero: volevo solo incontrarli e quindi avrei dovuto trovare il modo di fare una mostra. Sono andata in una piccola galleria di Brooklyn che ha accettato, e cosi è nata la prima mostra che io abbia mai curato. Era il 2003. È andata benissimo e i due artisti, specialmente Keegan, sono diventati molto noti. Tutto è cominciato con quella zine ricevuta per caso.

È solo un’impressione o questa effervescenza del successo iniziale si sta affievolendo negli ultimi due anni? Ci sono nuovi talenti sui quali bisognerebbe puntare?
Non ho notato un calo. Invece ho incontrato anche dei giovanissimi artisti che, crescendo e affermandosi, disertano la comunità perché non ne hanno più bisogno. Sono occupati coi loro otto assistenti e non hanno più il tempo per far festa tutta la notte al Lit Lounge, per andare alle inaugurazioni o collaborare per fare dei fumetti. Certi artisti si ritirano dall’aspetto “bambinesco”, ma prova a dirlo ad Alan Vega, quello dei Suicide, che ha sessant’anni. Lui ha appena avuto una seconda ondata di successo perché gli artisti lo stimavano da quando erano bambini: era il loro musicista favorito. Lui è l’eroe del gruppo sperimentale di punk elettronico Gang Gang Dance, presente in questa mostra romana.
Poi ci sono le nuove scoperte, come Evan Gruzis, che si è appena laureato all’Hunter College. Non abitava ancora a NY all’epoca della squadra irak graffiti con Dash e Ryan McGinley, che fotografavano quello che era l’apogeo del “downtown cool”. Evan invece condivide con la comunità una certa sensibilità e senso dell’umorismo.
Questi nuovi talenti emergono grazie a persone come A-Ron o come me in qualità di curatrice, che continuiamo a scavare e a nutrire la macchina dell’arte. È esemplare l’incontro con Alan Vega, che ho conosciuto quando lavoravo sulla mostra Nest con Dash Snow e Dan Colen. Ho chiesto loro chi volessero che suonasse all’inaugurazione e loro hanno risposto all’unisono: “Alan Vega, vogliamo i Suicide!”.
Il mio capo, Jeffrey Deitch, conosceva bene Alan Vega, perché era uno che assisteva a tutte le manifestazioni del rock underground ed è stato anche licenziato perché non arrivava mai in tempo al lavoro la mattina. È per questa ragione che non mi ha licenziato quando arrivavo tardi al lavoro, cambiando invece il mio orario e permettendomi di lavorare da mezzogiorno alle otto di sera! Quindi Jeffrey ha presentato Alan a Dash e Dan, e dopo Alan ha cominciato a registrare dei pezzi con il gruppo che ha suonato all’inaugurazione di questa mostra al Macro Future: A.R.E Weapons si è affermato come il nuovo gruppo punk alla moda di NY. Quindi le cose vengono da tutti due i lati, giovani e meno giovani.

Ma alcuni di loro si fermano mentre altri lasciano la comunità…
La maggioranza rimane. C’è qualcuno, non vorrei fare nomi, che ha tratto la propria energia dall’underground per poi distanziarsene. Però, per la maggior parte di loro, la comunità rappresenta la famiglia, i loro migliori amici, la gente con la quale passano tutti giorni. Il gruppo degli artisti dell’altra sala, a destra dell’entrata, s’incontrano quotidianamente, creano libri insieme e stabiliscono legami fortissimi. Tutti si conoscono, non si tratta solo di un concetto di “comunità”. È una vera famiglia, in tutti sensi.

Tu sei parte di questa comunità anche perché sei un’artista. Ultimamente però ti presenti esclusivamente come curatrice…

In verità c’è una mia mostra che inaugura proprio in questi giorni, curata da “Vogue Magazine” e da Jeffrey. È stata una coincidenza pazzesca, perché tendo a tenere distinte la mia pittura e Deitch Projects. In America il fatto di essere artista e curatore allo stesso tempo è uno stigma, crea un conflitto d’interessi. Alcuni riescono a farcela, vedi Matthew Higgs, curatore molto rispettato e interessantissimo artista allo stesso tempo. L’attività curatoriale di Maurizio Cattelan è invece una forma d’arte, come quella di Terence Koh che, quando presenta una mostra nella sua galleria, fa diventare tutto un proprio lavoro. Come nella mostra All The People I Want to Sleep With, che è un concept piece.

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La morte di Dash Snow

a cura di mirela pribac


dal 19 settembre al primo novembre 2009
New York Minute
a cura di Kathy Grayson
Macro Future – Ex Mattatoio
Piazza Orazio Giustiniani (Testaccio) – 00153 Roma

Orario: da martedì a domenica ore 16-24 (la biglietteria chiude mezz’ora prima)
Ingresso: intero € 4,50; ridotto € 3
Info: tel. +39 06671070400; macro@comune.roma.it; www.departfoundation.org

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  • Come l'ultima artefiera!
    un pienone incredibile e mai visto, per controllare di che morte dobbiamo morire.
    Solo curiosi di vedere se l'america è in grado di sopravvivere e probabilmente molti artisti in cerca di contatti, in un evento che era solo un' occasione.( speriamo l'ultima )
    Un evento così, ma con artisti italiani, con tutta questa pubblicità e con una location prestigiosa, avrebbe sortito lo stesso interesse, ma noi dobbiamo sempre sognare New York!

  • Ehi voi, che vi prende? Per una volta leggo un dialogo sensato -al di là del merito delle opinioni di ciascuno- sotto ad una notizia? State bene !?

  • Dear Ron Peres,
    i am very shocked and admired lissening your legendary biography about the legendary artist Dash Snow. But i can't cry.
    Unfortunately i know many my friends that using drugs are dead a also i used every kind of drug in my life until i was 35. Usually i don't need to tell my past life to others: is my choice.
    Somethimes i knew sex and, you can't believe me, masturbation. Incredible!
    In Italy many people were against war in Iraq , this is good ,but not sufficently
    for this great number of persons to become all artist.
    Sorry for my bad english but i was seriously interested to say you that you are a typcal
    ignorant man that is possible to find in Usa
    and unfortunately more frequently in Italy tanks the influence of subculture: ridicoulous
    and only surface

  • Caro direttore me la regalate la maglietta in vendita di quel giovane disegnatore che ha ricostruito volti grotteschi, riproponendo secondo lo stile cinquecentesco arcimboldiano assemblaggi di insetti, cibi, sigarette e impronte di scarpe?
    Non ricordo se fosse un uomo o una donna, ma a diffferenza dimolti altre opere ho trovato i suoi disegni a pastello molto ben fatti, delicati e interessanti.
    Redazione Roma3

  • Dear Antonio,may you missed this part or you dont know english.Have a nice day.

    Why do we have to have people like this posing as artists and being rewarded for it? Why don’t these hipsters either do something useful or else kill themselves? Rich kids who sleep on the streets of Alphabet City are a scourge and an insult to vagrants and bums everywhere.

    On an even more tragic note, apparently Dash has just become a father and named his kid ‘Secret.’ Just one cultural crime among many.

  • Antonio ma non hai capito nulla.Ma hai letto tutto l'intervento.Non credo possa scriversi qualcosa di più sprezzante e critico, la bio è solo un ironica introduzione.

  • C'è qualche volenteroso utente che può tradurmi i commenti in inglese, affinchè possa leggerli meglio?

  • dear mr Peres,
    yes my english isn't good but i understood that you was joking; i sincerely appreciate your deep sense of humor because is impossible speaking about the work of this unfortunate man with seriously arguments: sorry for my cynical comment but i am very bored about stupid introduction without deep concepts: your humor is a mask for your emptyness

    quanto a christian mi pare che sei te che non hai capito un tubo

  • Perdonami Antonio,ma continuo a dire che non hai compreso lo scritto di ron peres..è impossibile essere più duri e sprezzanti di quanto sia stato lui.

  • caro christian quando si esagera si esagera
    ed è buona cosa ammetterlo anche se a denti stretti e ammetto di aver esagerato trascinato da una certa rabbia e anche dal mio pessimo inglese.Ma credo di non avere del tutto torto:
    come ho spiegato non mi commuovo di fronte alle storie di droga e alle vite maledette e ho i miei buoni motivi e li ho accennati; forse esagero ma penso che sarebbe ora però di sfatare queste tristi ma pure ridicole vite maledette non con l'ironia anche cinica sui particolari biografici ma magari analizzando con più intelligenza l'opera in questione come un sintomo e quindi preferirei delle analisi piu seriose: quanto alla folla accorsa alla mostra non mi impressiona: fra 10 anni tutta questa gente per buona parte si perderà per strada o diverrà volente o nolente adulta, giocoforza dati i tempi che ci aspettano e che vorrei che peres seppure in buonafede soppesasse come più importanti di un epifenomeno

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