Fare e disfare fino all’opera perfetta

di - 27 Dicembre 2014
Siamo nella Milano del 1961: presso la galleria Brera vengono sequestrati quadri per vilipendio alla religione per ordine della procura della Repubblica di Milano. Cosa si nasconde dietro questo fatto di cronaca? L’Anti-procés 3, una mostra e manifestazione collettiva internazionale organizzata da Alain Jouffroy e Jean-Jacques Lebel, in opposizione alla guerra in Algeria, alla tortura e al razzismo. «L’Anti-Processo non è solo un atto di protesta, è il punto di incontro di volontà (…). Vogliamo abbattere le barriere che si continuano ogni giorno ad innalzare tra l’arte e la vita, vogliamo proporre un’altra immagine dell’uomo, dove finalmente si riconosca, nelle sue contraddizioni, nei suoi deliri, come pure nelle sue esigenze di ordine, di equilibrio e di pace», asserisce Jouffroy. Tra le opere sequestrate il Grande quadro anti-fascista collettivo, di cinque metri per quattro, realizzato in situ da Erró, Lebel, Enrico Baj, Roberto Crippa, Gianni Dova, Antonio Recalcati, opera qualificata di pittura e di storia, sulla scia di Guernica di Picasso. Recuperata in cattivo stato nel 1988, sarà esposta a partire dal 1992. Mentre Le Flux de la Sharpeville asexuée, dipinto da Erró, è stato restituito all’artista solo qualche mese fa. Praticamente un inedito in questa grande retrospettiva di Errò organizzata al MAC di Lione.
Ma chi è Erró? Islandese, classe 1932, al secolo Guðmundur Guðmundsson, è tra le figure più importanti dell’avanguardia europea degli anni ’60, il suo nome è associato tra l’altro alla Figurazione Narrativa, alla performance e al cinema sperimentale, ma soprattutto Erró è l’inventore del “collage dipinto”, come dirà di lui Lebel. Nel 1958 l’artista islandese realizza il suo primo collage, tra cui i collages-dessins della serie Radioactivity, il cui titolo rimanda ad una campagna anti-nucleare lanciata dai surrealisti parigini. Mentre siamo a New York, nel 1964 quando dipinge a partire da collage creati a monte, ed è in questo periodo che nascono i primi “scape” che lo accompagneranno fino al 2000, questi sono inizialmente ispirati alla visione dei grandi supermercati statunitensi.
Il termine “scape” designa un brulicare di elementi monotematici organizzati in paesaggi panoramici, tra questi Fishscape (1974), Carscape (1968-1969) e Foodscape (1962), quest’ultimo oltre ad essere il primo, venne presentato in una mostra dal titolo Ritorno d’America presso la galleria milanese Schwarz. In breve, rinuncia ad inventare, e tuffandosi nel flusso continuo di immagini provenienti dalla cultura di massa “afferra l’ethos di un’epoca”, come dichiara lui stesso. Insomma, tra foto pubblicitarie e di cronaca fino a toccare la storia dell’arte, crea una sorta di archivio dell’umanità che restituisce poi in pittura, perlopiù gliceroftalica (ottenuta da un mix di leganti sintetici e solventi di olio e acqua), in quadri in cui non lascia spazi. Come le immagini che saturano il nostro spazio sociale, queste si dispiegano scontrandosi l’una a l’altra, su grandi formati: è la serie Art history, Magritte (220×490 cm, 1992) e Hommage à Van Gogh (220×490 cm, 1992). Ritroviamo anche i grandi classici come in Boschfooded (1964), in cui riproduce la parte centrale del Trittico del Carro di fieno di Hieronymus Bosch (1501-1502). Metafora della vita ordinaria tra brame e aiuti divini, qui Errò introduce nella scena già intrisa d’azione, una carpa tesa e battagliera catturata all’amo, simbolo di vita e fecondità, che rimanda ai tranquilli e sinuosi pesci delle stampe orientali.
Le immagini in Erró non sembrano essere accostate casualmente, poggiano su una rete di rapporti sempre diversi e da scoprire, sono decontestualizzate e, subendo un effetto di straniamento, rinascono e ci raccontano vecchie storie modernizzate, storie inedite che ci fanno guardare sotto una luce diversa ciò che crediamo aver già visto. Il tutto immerso in una fantasmagoria di colori, in un universo cromatico spettacolare. «Tutto, assolutamente tutto è stato già fotografato, filmato, disegnato, allora perché voler creare ancora nuove immagini?», si chiede Errò.
Ma torniamo al dipinto sequestrato nel ’61, Le Flux de la Sharpeville asexuée (1960, serie Sex-trémités, pittura gliceroftalica su tela, 200×300 cm), in omaggio alle vittime del massacro di Shaperville in Sud Africa, avvenuto il 21 marzo 1960. Per quest’opera, l’artista è partito da una quarantina di disegni di uomini e animali rudimentali, riuniti poi insieme a volte a coppie, al fine di creare dialoghi di sguardi e via dicendo, per essere incollati e disposti su piani diversi che ricordano le aree circolari e concentriche dell’inferno dantesco. Ma com’è organizzata la mostra? Da quando è stata inaugurata, ha accolto quasi 900 visitatori al giorno. Curata da Danielle Kvaran, è composta da oltre 500 opere distribuite lungo 24 tematiche e dislocate sui tre piani del Mac di Lione, diretto da Thierry Raspail.
La prima sala ci immerge nell’immaginario di Erró, qui le pareti sono totalmente riempite senza seguire una logica apparente con opere che vanno dal 1958 al 2014. Dopo questo inizio esaustivo si passa di sala in sala, o meglio di serie in serie, come Radioactivity, in cui l’artista attraverso una tecnica mista raggruppa frammenti di immagini e frasi ritagliate dalla stampa perlopiù anglosassone, il risultato è tragicomico. Tra le serie Mao (Chinese Paintings, 1975), in cui si vede l’ex-presidente della Repubblica popolare cinese, statuario e in veste di turista su una piazza San Marco deserta e coperta d’acqua, l’umorismo è tagliente. Ma c’è anche una serie erotica in cui troviamo Etiopia! (serie For R. Crumb, Formentera, 1973) o Battle of Kyoto (serie Made in Japon, 1974). Mentre è del 1959 la serie Meca Make-up, Mecamasks e le Monde de l’Art, in quest’ultima l’artista trovandosi in una Parigi dominata dall’astrazione, convinto al contrario che la pittura debba riflettere il suo tempo, mette in scena ingranaggi e vittime del sistema capitalista e attraverso la satira denuncia la manipolazione dell’individuo.
Interessante la parte degli happening e del cinema sperimentale, come quando partecipò al film di Eric Duvivier Concert mécanique pour la folie ou la folle mécamorphose (1962), ma anche la performance Conjurer l’esprit de catastrophe (1962), dove gli artisti deambulando tra il pubblico e si lasciano andare tra danza, suoni e parole. Da non perdere il lato politico, in cui denuncia gli orrori del nostro tempo, vedi La Renaissance du nazisme (1979-1991), ma anche Le Pétrole (1980), in cui narra la storia del petrolio, qui scorgiamo in angolo del dipinto la mitica lupa che allatta due macchine ingorde. Tra umorismo, satira, critica alla società dei consumi o alla politica tout court o all’insaziabile culto della personalità, questa mostra è bella ma anche necessaria, ad effetto catartico garantito.

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