FUTURDUEMILANOVE

di - 22 Febbraio 2009
Professoressa, le sorti della maggiore avanguardia italiana sono per un anno “nelle sue mani”. Come ci si sente?
Nelle mie mani… sono parole molto grosse. Io sono semplicemente il curatore di alcune mostre; il ruolo che mi viene attribuito è eccessivo, io faccio il mio lavoro e lo faccio nella maniera più rispettosa possibile. Con queste mostre tendo a ristabilire il giusto valore del Futurismo in rapporto alle altre avanguardie. La lettura, forse un po’ deviata, che spesso ne è stata data parte proprio dagli esordi, dalla formazione del gruppo futurista, e quindi mi sembra che rimettendo a fuoco quella prospettiva, anche la lettura storiografica del periodo successivo potrebbe essere rivista…

Futurismo&fascismo. Il gap storiografico è già superato o questo centenario sarà utile per fare un passo in avanti?
In parte direi che è già stato superato, perché comunque l’avanguardia futurista è riconosciuta come un’avanguardia d’importanza internazionale. Il problema del rapporto con il fascismo sussiste, e probabilmente sarà anche ripreso in questa nostra fase storica… È un aspetto anche pericoloso da sollevare, senza una giusta lettura storica, senza una giusta contestualizzazione. Anche le opere del momento interventista, dipinte da Balla tra il ’14 e il ’15, in questa fase storica possono essere lette come un inno al nazionalismo, senza collocarle nel momento in cui sono state dipinte…

Il futurismo non è stato solo un movimento artistico, ma anche letterario, musicale, persino “politico” se si pensa che il suo ideatore, Marinetti, e molti aderenti furono tra i più fervidi sostenitori dell’intervento dell’Italia nella Grande Guerra. Di tutto questo, però, scorrendo i programmi del 2009 sembra ci si sia dimenticati. Non si rischia così di limitare un po’ il campo?

Ci sono varie mostre, nell’ampio programma del centenario, che certamente affrontano anche questi aspetti. E mi riferisco in particolare alle mostre milanesi, quella a Palazzo Reale curata da Giovanni Lista e Ada Masoero, e quella dedicata alla figura di Marinetti al Palazzo delle Stelline, curata da Luigi Sansone e dal nipote dello stesso Marinetti, Filippo Piazzoni. Personalmente, in linea con i miei studi, io ho preferito concentrarmi sulla formazione del primo gruppo futurista.

In questo coacervo di iniziative, il Comitato costituito per il Centenario ha svolto il suo lavoro, quantomeno come coordinamento?
Per quello che mi riguarda, direi ben poco. La mia posizione è quella di curatore: questo Comitato doveva – o dovrebbe, io non sono stata più informata degli sviluppi delle varie riunioni – servire per un coordinamento tra istituzioni. Per quello che riguarda me, non mi sembra che ci sia stato un coordinamento così efficace…

L’archivio Marinetti approdò negli Usa alla Yale University e al Getty Research Institute di Santa Monica. Perché l’Italia ancora negli anni ‘90 ha perso occasioni come quella?

Rispondo alla provocazione con un’altra provocazione: per uno studioso, quella fu in realtà una grande apertura agli studi. Quelli sono archivi facilmente consultabili, e sono stati velocemente catalogati. Richiedendo i documenti via internet, o via email, la risposta è sempre immediata…

Quindi l’Italia abdica alla possibilità di conservare adeguatamente un archivio importante?
Gli archivi in Italia ci sono, e sono anche molto ben organizzati, come al Mart di Rovereto, dove ho egregiamente lavorato con gli archivi di Severini, o di Carrà. In Italia c’è tutto un sistema dell’arte che non funziona, che ruota intorno a meccanismi complicati che spesso si inceppano, che non riesce a trattenere neanche le opere dei suoi grandi artisti. È un problema che riguarda anche i giovani artisti, e che ci trasciniamo da anni; è un problema di natura istituzionale.

Il Museo del Futurismo è stato più volte annunciato. Il Centenario potrebbe dare il là alla effettiva realizzazione?
Potrebbe anche essere…

Perplessa?
Sì. Io personalmente non ne vedo molto la necessità, non è che la Francia abbia mai avuto un museo del Cubismo… Non credo che si debbano “ghettizzare” come glorie nazionali i fenomeni avanguardistici, questo semmai l’avremmo dovuto fare prima. Io sono per una maggiore apertura, per una maggiore libertà intorno ai temi dei musei. Trovo che questo tipo di specializzazione sia anche piuttosto sterile, certe volte.

La prima mostra che apre questo centenario si tiene a Parigi. E giù polemiche…
Forse questo fatto andrebbe letto in maniera più positiva, rispetto all’interpretazione che ne è stata data. Perché non cogliere l’aspetto positivo di un riconoscimento internazionale del Futurismo? Il movimento è stato riletto dai francesi in una visione internazionale di rapporto con le altre avanguardie, non vedo aspetti negativi in questo tipo di valutazione.

La mostra francese approda in Italia, prima di giungere a Londra, sotto la sua cura. Quali sono le novità?
Il progetto è di Didier Ottinger, uno dei curatori del Pompidou, e nella prospettiva dell’approdo alle Scuderie del Quirinale – prima di giungere alla Tate Gallery – io sono stata coinvolta come “commissario” della parte italiana. Nel ridisegnare la linea della mostra, ho tenuto in maggior conto il contesto, rafforzando la parte italiana e addolcendo gli spigoli delle priorità assegnate dal curatore francese. La mostra in origine è incentrata sulla ricostruzione dell’esposizione tenutasi nel 1912 a Parigi presso la galleria Bernheim-Jeune; io e il curatore della Tate abbiamo – aggiungendo altre importanti opere – ampliato il panorama fino agli anni della Guerra.

C’è tutta una “fronda” di storici italiani che teme che gli eventi si concentrino troppo sul Futurismo “storico”, trascurando gli sviluppi successivi. Cosa sente di rispondere?
Rispondo che se non viene studiato con attenzione capillare e rimesso nella sua giusta prospettiva storica il primo Futurismo, si rischia di dare una lettura troppo orientata alle propaggini del secondo Futurismo. Del resto una mostra è anche espressione del punto di vista del curatore, non è che si debba sempre dare una visione complessiva del fenomeno. Ci saranno mostre, come quella di Milano a esempio, che allargheranno la visione a tutto il movimento, anche nella complessa dinamica dei rapporti fra tutte le arti.

Facciamo qualche nome. Non crede che un artista come Enrico Prampolini sia oggi sottovalutato?

Certamente. E io sono dell’idea che il centenario dovrebbe proprio lanciare un segnale per recuperare una lettura complessiva del Futurismo, e sono sicura che in questa ottica Prampolini verrà riletto nella sua giusta dimensione.

La mostra veneziana e l’apertura della Casa-Museo daranno una visibilità speciale a Depero. Nessuna riserva sul valore assoluto, ma Depero rappresenta davvero l’anima profonda del Futurismo?
Qual è l’anima profonda del Futurismo? Direi che in realtà è quella di Marinetti, poi ci sono tutte le figure che hanno partecipato a questa straordinaria avventura, tutte straordinariamente importanti. Ognuna con le proprie sfumature, le proprie particolarità…

Un cenno alle iniziative che inquadrano il Futurismo come movimento totale.
Ci sarà una molteplicità di iniziative, tutte così diverse tra di loro, per cui ci saranno proposte di grande repertorio, che toccheranno tutti gli ambiti di questa eccezionale fioritura. Le mostre curate da me non li affronteranno direttamente, ma saranno accompagnate da un fitto programma di eventi collaterali dedicati a questa estensione, in collaborazione con altre istituzioni. A Roma potrei citare il Teatro dell’Opera, dove saranno organizzati concerti con musiche ispirate agli intonarumori di Luigi Russolo, o una serie di programmazioni filmiche al Palazzo delle Esposizioni.

L’evento centrale dell’anno è il tris di mostre dislocate fra Rovereto, Venezia e Milano, che contestualizzano il Futurismo in una prospettiva europea. Quali aspetti approfondiscono?

La mostra di Rovereto, che ha come sottotitolo Illuminazioni, è centrata soprattutto sul rapporto tra il Futurismo e le avanguardie nordiche, le tendenze artistiche tedesche e russe, e quindi evidenzia l’aspetto cromatico-coloristico, l’idea dello studio sulla luce e sul colore. Come figura centrale di riferimento c’è Gino Severini, il cui archivio peraltro è conservato proprio al Mart. La mostra di Venezia, invece, dal sottotitolo Astrazioni, è incentrata sulle figure Giacomo Balla e di Luigi Russolo e sull’idea di una sintesi dell’elemento lineare. In questo caso ho pensato che poteva essere interessante vedere le opere del 1912/13 in rapporto a quelle degli artisti delle avanguardie dello stesso periodo che si inseriscono nello stesso percorso di ricerca, artisti che in quegli anni mutano il loro linguaggio dalla figurazione all’astrazione, o comunque a una sintesi più astratta, da Duchamp a Malevich, a Mondrian. La mostra milanese, il cui sottotitolo sarà Simultaneità, si concentra sull’aspetto più formale della rappresentazione futurista, e quindi sulle figure di Boccioni e di Carrà, e sugli studi sull’aspetto plastico della rappresentazione. Scultura, quindi, con i paralleli con Brancusi, Modigliani, Archipenko…

I tre eventi avranno tre cataloghi diversi, tutti editi da Electa, ma con un progetto unitario. Una sorta di enciclopedia del Futurismo in tre volumi…
Ho cercato di riscrivere la storia di un momento che è stato soltanto visto nel suo aspetto più “violento e aggressivo”; in realtà c’è una tessitura straordinaria di rapporti tra gli artisti, e questo verrà fuori dagli epistolari che saranno pubblicati nel catalogo. Ho deciso di accantonare la mia lettura critica, di rimanere silente, per lasciar parlare gli artisti attraverso le loro opere e attraverso le loro parole. Più che di enciclopedia, parlerei di una storia raccontata dai protagonisti, ecco…

C’è dunque una cospicua produzione editoriale, c’è il nuovo museo Depero. Resterà altro, dopo il 2009? Non si corre il rischio che dopo gli eventi effimeri, il Futurismo torni nel limbo?

Io penso di no, perché tutti questi materiali sono anche fonti importanti per riavviare degli studi, credo ci siano spunti interessantissimi per poter riprendere l’analisi storico-stilistica del movimento, anche con letture nuove e stimolanti. Io stessa, nelle mostre che ho seguito, ho pensato più a porre interrogativi che a dare risposte. Evidenziando corrispondenze, analogie, dissonanze, spero di provocare un pubblico ampio a cercare delle nuove chiavi di lettura.

Ma chi è oggi Mafarka il Futurista?
Non lo so, forse lo aspettiamo ancora…

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a cura di massimo mattioli e elena percivaldi


*articolo pubblicato su Grandimostre n. 2. Te l’eri perso? Abbonati!

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