In Lucania, tre artisti rileggono l’antica tecnica del graffito polistrato

di - 19 Settembre 2025

Montemurro, piccolo centro della Val d’Agri, custodisce un sapere che affonda le radici le terre stesse che lo circondano: la tecnica unica del graffito polistrato, che mescola sabbie, pigmenti e calce per trasformarli in immagini resistenti all’erosione del tempo. Dal 2003, su impulso di Giuseppe Antonello Leone, questa conoscenza è diventata patrimonio condiviso, scuola, laboratorio dove il lavoro sulla materia si fa riflessione sulla condizione umana, museo diffuso tra memoria artigianale e linguaggi contemporanei. Tali esperienze trovano una restituzione pubblica con la manifestazione Graffiti Polistrato di Montemurro, arrivata nel 2025 alla quinta edizione, intitolata Quinta Umanità, con il coinvolgimento degli artisti Vincenzo Dibiase, Paolo Puddu e Vincenzo Rusciano.

Vincenzo Rusciano

La storia e la tecnica: la terra come medium

Nata nel 2003 da un’idea dell’artista Giuseppe Antonello Leone, la Scuola del Graffito Polistrato di Montemurro aveva preso vita già negli anni Sessanta, quando Leone sperimentava su una parete con dieci strati di malte colorate usando terre, sabbie, calce locali, pigmenti naturali raccolti nel territorio lucano. Quelle sabbie dei Deserti di Montemurro, la creta, la sabbia gialla verso Moliterno, le terre rosse, le terre ocre da Roccanova, le pietre verdi da Viggiano, diventano materia viva: la malta viene impastata, stratificata e poi graffiata per rivelare i colori interni, creando pitture murali che col tempo si trasformano quasi in pietra, in materia dura e profondamente legata al paesaggio.

Con il passare degli anni questo processo è diventato metodo, sapere collettivo. La scuola organizza workshop, residenze artistiche, collaborazioni con scuole e progetti sul territorio. Dal 2010, l’edizione artistica annuale vede artisti nazionali e internazionali realizzare muri nuovi per la comunità, trasformando Montemurro in un museo a cielo aperto. Oltre 60 sono oggi le opere installate nelle vie del paese.

Quinta Umanità: le nuove opere a Montemurro

Il tema scelto per l’edizione 2025, Quinta Umanità, fa da cornice concettuale per evocare una nuova idea di umanità solidale, compassionevole, consapevole del proprio impatto sul mondo. In anni segnati da guerre e da genocidi, crisi migratorie, disastri ambientali e inquietudini globali, Quinta Umanità invita gli artisti a riflettere sul presente e sulle sue fratture, sulle possibilità di rinascita, di resistenza, di relazione con l’altro.

In residenza a Montemurro, quest’anno, Vincenzo Dibiase, Paolo Puddu e Vincenzo Rusciano sono stati chiamati a realizzare nuovi graffiti polistrato che incarnano questo spirito. Ognuno con il proprio stile, ciascuno partendo dalla materia locale storica, applicando, graffiando, stratificando, incarnando la dimensione tecnica e la potenza concettuale del polistrato.

Resistere e restare, l’opera di Vincenzo Dibiase, si costruisce come un tessuto visivo in cui le foglie d’ulivo si alternano a campiture cromatiche rosso, nero, bianco e verde, richiamando i colori della bandiera palestinese. Il motivo dell’ulivo, simbolo universale di pace, richiama qui la trama della kefiah, emblema identitario di un popolo e della sua resistenza, divenuto nel tempo vessillo di ogni lotta contro guerre, colonialismi e forme di oppressione. L’opera si radica anche nella cultura mediterranea e lucana, con l’ulivo che appartiene da sempre al paesaggio e alla memoria collettiva, segno di radicamento e continuità.

Nato nel 1973, docente alla Accademie di Foggia e Napoli, Vincenzo Rusciano ha incentrato la sua ricerca artistica sulle contaminazioni tra archeologia, restauro, storia classica e sensibilità contemporanee. Cum grano salis è la sua opera realizzata per il muro di una casa di Montemurro. L’intervento di Rusciano si fonda sul concetto di frammento, lasciando affiorare le fratture del presente, gli squilibri generati dall’incontro tra l’armonia della natura e le intrusioni dell’industria estrattiva, restituendo al contempo lo stupore di fronte alle preziose e vulnerabili connessioni che legano ambiente, società e cultura. Così, l’immagine si carica di empatia verso il paesaggio e ne assorbe le ombre, la quiete, la memoria architettonica.

Scultore e visual artist classe 1986, Puddu lavora da sempre sui confini tra identità e collettività, tra oggetti e significati, ibridando materiali industriali e innesti concettuali. Il suo graffito polistrato, intitolato Let’s Pretend to Speak the Same Language, vuole rappresentare la possibilità di un dialogo critico: un bacio politico, un’icona erotica e simbiotica al contempo, tra frizione e complicità, con le due lingue si toccano, si cercano, per scandire la possibilità dell’indicibile e fuggire dalla narrazione dominante del pensiero unico.

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