La caducità della scultura

di - 18 Maggio 2015
Curata da Lorenzo Benedetti, la nuova mostra che riapre il programma del CCC Strozzina segna nettamente un distacco dalla precedente gestione di Franziska Nori e suggerisce una nuova strada per il futuro del centro d’arte fiorentino. “Anche le sculture muoiono” è il suggestivo titolo – mutuato da dal documentario di Alain Resnais e Chris Marker, Les statues meurent aussi del 1953 – dell’esposizione collettiva a cui prendono parte tredici artisti italiani e internazionali, chiamati a riflettere sul tema della scultura, sulla sua caducità e sul valore che acquisisce nel contesto contemporaneo.
Come già avvenuto nella programmazione del CCC Strozzina, anche questo episodio espositivo si confronta con la mostra ospitata al Piano Nobile di Palazzo Strozzi, “Potere e Pathos. Bronzi del mondo ellenistico”, che indaga lo sviluppo dell’arte nell’Età Ellenistica tra IV ed il I secolo a.C.. La mostra dei bronzi sembra essere il motivo ispiratore di “Anche le sculture muoiono”, che si propone tuttavia di andare oltre al mero dialogo tra antico e contemporaneo, al fine di soffermarsi su aspetti centrali della scultura di oggi, sulla sua contrapposizione con l’odierna cultura delle immagini e sulla trasformazione di significato e valore a cui è attualmente sottoposta. Una mostra che vuole approfondire il senso stesso dell’ “essere contemporaneo”, attraverso l’idea di permanenza nel tempo che l’opera evoca: la temporalità, quindi, come elemento significante dell’intera mostra, declinata in sculture, installazioni e video, che riflettono sul valore della storia passata e del recente modernismo, sulla fragilità dei materiali contrapposta alla persistenza delle forme, sul rapporto con l’odierna tecnologia.

Il dialogo con il passato è cifra centrale ad esempio del lavoro proposto da Oliver Laric (Innsbruck, 1981), grazie ad una riflessione sulla riproducibilità e alla tematizzazione della relazione tra scultura e medium pittorico: in Untitled (2015) una carta da parati riproduce delle scansioni 3D di alcune sculture provenienti dal museo Archeologico di Firenze presenti nella mostra “Potere e Pathos”, mentre le copie in poliuretano di teste classiche – Herackles (2011) – poste a terra di fronte al murales, risultano profondamente dissonanti proponendo una crasi tra presente e passato generata dalla materialità, dalla colorazione e dalla collocazione a terra delle sculture.
La stratificazione di segni e storie, l’idea di una temporalità in divenire, la contrapposizione tra materiali transitori e durevoli, sono temi affrontati in modo totalmente riuscito da Giorgio Andreotta Calò (Venezia, 1979). Clessidra (2010) ripropone le forme delle strutture di legno presenti nella laguna veneziana per ormeggiare le barche: la particolare forma a clessidra è generata dalla consunzione e dalla corrosione dell’acqua sui pali. Andreotta Calò presenta dei calchi, in tutto rispondenti alle forme originali, fusi in bronzo: la materialità della lega e la sua colorazione cangiante crea una similitudine con gli originali lignei; la “traduzione” da un materiale organico a uno inerte, tipico della scultura classica, rappresenta una sorta di sospensione temporale, dove la solidità e resistenza del bronzo va a bloccare un processo naturale in un eterno presente.

La riflessione sulla scultura rimanda necessariamente al suo impiego come simbolo veicolatore di ideologie e potere, attraverso l’uso politico del monumento. Fernando Sánchez Castillo (Madrid, 1970) nell’ironico video Rich Cat Dies of Heart Attack in Chicago (2004), mostra diversi tentativi di distruzione della testa monumentale di una scultura di un dittatore: le azioni compiute sulla testa, a volte violente, a volte semplicemente stranianti, conducono all’impossibilità di una totale riuscita dell’operazione. La storia recente e passata, le sue ideologie e i suoi valori, sembrano sopravvivere alle modalità di rappresentazione che la scultura ne ha dato.
Per “Anche le sculture muoiono” lo spazio della Strozzina è stato volutamente “ambientato” attraverso modalità fino ad ora poco sperimentate: saturandolo materialmente (si veda l’installazione di Mark Manders, che occupa un’intera sala riproducendo il proprio studio in una sorta di sosta temporale e logistica della mostra), sfruttandone gli anditi più nascosti ed estendendosi nelle sale espositive come se l’architettura divenisse una prosecuzione stessa dell’opera (Katinka Bock), oppure lasciando vuoti spaziali capaci di evocare altre dimensioni, luoghi e significati (la sala dedicata Andreotta Calò, l’ambientazione ai margini del lavoro di Michael E. Smith).

Ne risulta una mostra complessa e sfaccettata, che segna una nuova dimensione del CCC Strozzina, o perlomeno propone un’inedita modalità di riflessione sul contemporaneo. La sfida della Strozzina e di Palazzo Strozzi sarà quella di dotare nuovamente lo spazio di una propria identità, chiara e duratura, capace di proseguire il fecondo dialogo che l’istituzione era riuscita ad instaurare con la cittadinanza fiorentina e con gli ambienti artistici nazionali e internazionali. La riapertura costituisce un primo passo in questa direzione, i frutti e i risultati di questo lavoro li potremmo valutare solo in futuro, ma la speranza è tuttavia quella che a Firenze si smetta finalmente di rinunciare alla sperimentazione e al dialogo con la produzione contemporanea.

Curatrice e coordinatrice del dipartimento di ricerca e public program del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci. Ha lavorato per numerose realtà pubbliche e private dedicate al contemporaneo, tra cui EX3 Centro per l’Arte Contemporanea, CCC Strozzina - Palazzo Strozzi, Galleria dell’Accademia, MAN Museo e collabora regolarmente con riviste di settore.

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