La legittima leggerezza di Loro 1

di - 8 Maggio 2018
Arrivati ai titoli di coda è ormai notte e la strada di fronte al cinema è occupata solo dalle persone appena uscite dalla sala. L’aria è calda, sincera e familiare, un weekend di fine aprile che metterebbe chiunque a proprio agio ma avverto una indefinita sensazione di vuoto e vorrei chiedere anche agli altri spettatori se provano la stessa cosa. Saggiamente recedo dall’intenzione, potrebbe sembrare una domanda indiscreta, poco conveniente. Dunque, cosa sto provando, dopo aver visto Loro 1? Intendo oltre a un divertissement da nonsense linguistico, sul quale evidentemente Paolo Sorrentino ha giocato e altri ancora giocheranno, visto che non è una scelta casuale mettere, dopo un pronome di terza persona plurale, il più grande simbolo di individualità e unicità mai concepito dalla cultura occidentale.
Loro uno, non suona forse da Monty Python? Comunque è tutt’altro che una circostanza fortuita, perché questo racconto della nostra cara Italia degli ultimi venti anni, firmato dal regista italiano più apprezzato all’estero, non solo è una monografia incentrata sulla monade di Silvio Berlusconi ma è anche diviso in due parti e la seconda, Loro 2, uscirà a brevissimo. Potrebbe anche essere che questo vuoto sia dovuto alla serialità lasciata in sospeso, al tempo dell’attesa della conclusione. Oppure non si tratta di vuoto ma di leggerezza e allora vorrebbe dire che Paolo Sorrentino ha indovinato il primo film dal 2011, dalla parabola discendente avviata con This must be the place, che se non fosse per le espressioni facciali di un sempre meraviglioso Sean Penn sarebbe stato già abbondantemente dimenticato. La storia di Loro 1 è impalpabile, effimera e non fa nulla per nasconderlo, come accadeva invece per La Grande Bellezza e Youth.
Loro 1
In quelle pellicole si tentava di andare oltre la siepe, innalzando una malferma scala di dialoghi apatici e considerazioni spicciole sul senso ultimo della vita, della morte, dell’universo tutto intero. Mentre qui l’orizzonte dei personaggi è demarcato unicamente dalla linea bianca della cocaina, tutto ciò che va oltre la soglia uditiva della musica da festino non può esistere. Riccardo Scamarcio, a proprio agio nei ridicoli panni dell’ancora giovane rampante di provincia, vuole arrivare nelle immediate prossimità del potere, ovvero, fornire i suoi servizi di intrattenimento all’utilizzatore finale più importante, colui che non viene nominato e che compare solo nella seconda parte del film. Tony Servillo, perfetto nel ruolo di un deus ex machina un po’ impolverato ma ancora irrequieto, vuole ritornare al centro della scena – Forza Italia non è più al governo e nel partito si respira una pesante aria da passaggio di leadership – e ristabilire il proprio controllo sul rapporto con la moglie, un’assente Veronica Lario, della quale Elena Sofia Ricci rende bene il cerebralismo, caricaturale come tutti gli altri personaggi, principali e secondari.
Cioè tanto quanto si addice a un racconto che parte con un tatuaggio del faccione sorridente di Silvio Berlusconi sul fondoschiena di una ragazza. Inizia così un viaggio in un mondo in cui l’intimo si toglie in tutta fretta, dove le persone valgono quanto i numeri conservati nelle rubriche dei loro telefoni cellulari. Un mondo a una dimensione, in cui si può andare solo avanti, lasciando inconclusi la maggior parte degli eventi.
Loro 1
Non c’è una struttura narrativa precisa che porta Riccardo Scamarcio/Sergio Morra e la compagna Euridice Axen/Tamara dal litorale della Puglia alla mega villa in Sardegna, proprio accanto a Villa Certosa, passando per le terrazze panoramiche della Capitale. Si procede per sbalzi improvvisi e nevrotici, filoni di storie e grappoli di citazioni entrano ed escono dalla trama alla velocità di cinghiali in fuga dallo zoo, alternati a lentissimi movimenti di inquadratura, sottolineati dalle luci barocche in HD puntate sulle meraviglie romane.
Insomma, è Sorrentino e, nel bene e nel male, fa di tutto per ricordarlo a noi, pubblico italiano, anche troppo avvezzo alla propria storia e al proprio presente, e agli altri, pubblico estero, in fila ordinata per entrare nella confort zone dell’Italia, come raccontata da un ibrido tra la BBC e il National Geographic. Poi il tempo si dilata, i figli lasciano il posto ai padri. E così arriva Lui, stratega in vacanza più o meno forzata, che osserva i festini da lontano, dallo yacht o dal patio della Villa, mentre tenta di convincere un top player a firmare per il suo Milan o mentre reagisce con ferocia e consapevolezza ai colpi di mano degli altri politici dalla carriera più fresca.
Loro 1
Ricorda vagamente Youth? Certo ma senza l’abuso di retorica, perché il grande padre in questione preferisce la vita activa ed è la cronaca sotto gli occhi di tutti a ricordarlo in maniera lampante, quindi, le licenze poetiche non possono che interferire in minima parte, più nelle scelte visive che in quelle narrative. Nemmeno in questa fase, nella quale la tentazione di far sbrodolare il piatto con temi universali/esistenziali pure poteva essere forte – un uomo solo e il suo potere – si cade nell’autocompiaciuta gravità riflessiva. Il motto di spirito è tutto per la stampa, avida di scoop e virgolettati, la frase a effetto si ricerca per difendersi dalle accuse della magistratura di fronte all’opinione pubblica, tra un Bagaglino e l’altro, non certo per discettare di etica con una platea di maître à penser. Tutto questo appartiene al personaggio reale, già di per sé narrativamente interessante e conosciuto. Né gli stili registici né le pretese intellettuali possono intervenire troppo, in una storia che è già tutta raccontata e in cui, per il momento, si possono solo rendere esteticamente gradevoli i frammenti. Bravo a far diventare eccezionali caratteri apparentemente mediocri (Le conseguenze dell’amore) è altrettanto bravo, suo malgrado, a far diventare mediocri caratteri che vorrebbero apparire eccezionali (La grande bellezza). In questo caso, il merito di Sorrentino è stato l’aver fatto, finalmente, un passo indietro rispetto alla pretesa della storia. Per afferrare il peso politico di Silvio Berlusconi e del berlusconismo i tempi non sono ancora maturi, o forse lo sono appena. Comunque non basterà certo un film che, con saggezza e furbizia, decide di concentrarsi sulle biografie più facilmente comunicabili. Che Paolo Sorrentino non sia un Ingmar Bergman è un dato di fatto, la pesantezza del concetto, della filosofia e della morale non gli si addice ed è giusto che sia così, perché non aderisce ai nostri tempi e alle nostre latitudini e, soprattutto, non è pertinente al racconto di Loro, parte 1 e presumibilmente parte 2.
Mario Francesco Simeone

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