L’archivio diventa racconto vivo: il progetto a Palazzo d’Avalos di Procida

di - 12 Giugno 2025

Alcune esperienze segnano così profondamente un luogo da radicarsi nel suo tessuto, diventando un sostrato invisibile ma persistente, frammentato, disperso, difficile da cogliere nella sua interezza. Eppure impossibile da mettere da parte, perché continua ad agire anche nel silenzio. Il progetto Non ho aspettato altro che il giorno pieno, a cura di Alberta Romano con Aurora Riviezzo, si propone di ricomporre quei frammenti, di restituire forma e continuità a una storia rimasta sottotraccia. Letteralmente: si tratta infatti di riannodare i fili – quelli dei tessuti, dei racconti, delle vite – che fecero di Palazzo d’Avalos di Procida, già residenza signorile cinquecentesca, scuola militare, casa di reclusione borbonica e, infine, architettura abbandonata, un laboratorio vivo di attività artigianali e relazionali.

Tortora show, copertina de «La Domenica del Corriere», settimanale de «Il Corriere della Sera», 17 Settembre 1961. Collezione privata

Nel 1850, durante la gestione dei Gesuiti, il carcere di Procida avviò una significativa trasformazione con l’introduzione di macchinari tessili destinati alla produzione di quelle che sarebbero presto divenute note come le celebri Tele di Procida. Nel giro di pochi decenni, la struttura assunse i contorni di un polo manifatturiero: accanto ai telai, sorsero una tintoria, una sartoria, una falegnameria e un’officina per il ferro battuto. Per un periodo, vi trovò posto anche una corderia, a testimonianza di un’intensa e multiforme attività produttiva. Dall’Ottocento fino agli anni Ottanta del Novecento, centinaia di individui qui detenuti hanno vissuto esperienze di formazione e, in alcuni casi, di espressione artistica. La narrazione del progetto curato da Romano e Riviezzo però non è incentrata sulla redenzione attraverso il lavoro, bensì sulla capacità umana di generare bellezza, anche nella costrizione.

Copertina de «Il Mattino Illustrato», 12 aprile 1980. Collezione privata

Realizzato con il supporto dello studio di architettura AIDNA, l’intervento sarà presentato il 13 giugno e si inserisce in Ecosistema Palazzo d’Avalos, un più ampio processo di rigenerazione culturale e sociale promosso dalla Cooperativa Immaginaria Onlus con il sostegno della Fondazione CDP, in collaborazione con il Comune di Procida. Diretto da Marco Lauro e Valentina Schiano Lo Moriello, il programma, avviato nel 2024, prevede varie azioni, tra cui la catalogazione sistematica del patrimonio materiale del carcere, laboratori di storytelling e public speaking e una serie di performance teatrali site specific.

Un detenuto dipinge un quadro, fotografia di Cesare Colò, 28 Dicembre 1951. Courtesy of Archivio Storico Istituto Luce

A partire da una ricerca tra fotografie storiche, racconti orali, oggetti e manufatti, dalle lenzuola finemente tessute ai mobili lignei, da cimeli scolpiti a giocattoli in miniatura, Non ho aspettato altro che il giorno pieno ricostruisce un’inedita genealogia della creatività quotidiana che ha attraversato le celle del Palazzo. Il titolo, tratto da L’isola di Arturo, romanzo di Elsa Morante ambientato proprio a Procida, risuona come una promessa sospesa: il giorno pieno che tarda ad arrivare ma che vive nei gesti silenziosi e nella materia trasformata negli spazi di Palazzo d’Avalos.

Sagra del mare a Procida, fotografia di Riccardo Carbone, 20 Agosto 1959. Courtesy of Archivio Fotografico Carbone

Le Mostre Mercato, eventi durante i quali i detenuti esponevano i propri lavori artigianali, diventano qui il modello implicito di un’esposizione che lascia emergere un’archeologia del possibile. Il carcere, come luogo sociale, si rivela nella sua dimensione relazionale, tanto porosa quanto rimossa. L’allestimento è concepito come un corpo architettonico verticale che intercetta le tracce del passato con pannelli, fessure e dispositivi specchianti: una drammaturgia dello spazio che amplifica le storie depositate sulle pareti.

AIDNA – Uno schema del display allestitivo (Disegno di Salvatore Scandurra e Antonio Soreca)

Oltre al progetto Non ho aspettato altro che il giorno pieno, a intrecciare ulteriormente il linguaggio della memoria con quello dell’arte si aggiunge l’opera Letto per i giorni e le notti di Francesco Arena, realizzata a partire da un vecchio giaciglio ritrovato tra le celle dell’ex carcere borbonico. Esposta per la prima volta nel 2022 nell’ambito della mostra Sprigionarti, all’interno del programma di Procida Capitale Italiana della Cultura, l’opera è tornata stabilmente sull’isola grazie al sostegno del PAC 2024 – Piano per l’Arte Contemporanea della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Acquisita dal Comune di Procida, è stata recentemente installata al piano superiore del complesso, divenendo parte integrante del percorso di visita.

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