Le “cose” sono liquide

di - 6 Febbraio 2019
Pierre Huyghe è noto per aver dato vita, nell’ultimo decennio, ad ambienti immersivi in costante evoluzione. Huyghe non si oppone all’entropia, ma lascia che sia essa a guidare i suoi ecosistemi complessi. «Da qualche parte tra la pianificazione e il caso – dice l’artista – le cose sono liquide. Le realtà sgocciolano tra le crepe delle intenzioni, non casualmente ma seguendo percorsi imprevisti tagliati da processi che rimangono più o meno oscuri. Questa è l’osmosi della contingenza, in cui ogni cosa è ugualmente suscettibile di dissolversi o precipitare senza preavviso». Dopo aver stabilito condizioni biologiche precarie e creato interdipendenze con ulteriori elementi biotici e abiotici, l’artista lascia che la realtà traspiri dalle sue intenzioni vulnerabili. Tutt’altro che paesaggi scenografici dominati da un onnisciente Creatore, gli ambienti di Huyghe sono esperimenti promiscui, entità porose che esistono indifferentemente dalla presenza del visitatore. L’obbiettivo è quello di costruire qualcosa che possa scriversi autonomamente, auto-generarsi e mutare al di fuori del controllo dell’artista, proprio come in Preserving Machine di Philippe K. Dick, quando gli “animali musicali” del Professor Labyrinth, una volta rilasciati nei boschi, iniziano ad evolversi, a sviluppare artigli e pungiglioni, e a nutrirsi l’un l’altro.
Per la sua mostra nelle Serpentine Galleries, “UUmwelt”, Huyghe ha chiesto ad un individuo di osservare una serie di immagini e di leggere alcune descrizioni di determinati elementi. Mentre il soggetto ricreava le immagini nella propria mente, la sua attività cerebrale veniva mappata da una risonanza magnetica ei dati registrati furono trasferiti in un programma progettato per decodificare le informazioni visive dell’attività del cervello umano (deep image reconstruction from brain activity). Nel suo tentativo di ricostruire l’attività cerebrale, il programma raccoglie elementi dalla propria banca di immagini e costruisce un collage in costante movimento. Le migliaia di tentativi dell’intelligenza artificiale nel costruire rappresentazioni visive di un pensiero umano appaiono su cinque grandi schermi a LED disposti in diversi ambienti dello spazio espositivo.

Pierre Huyghe: UUmwelt, Installation view, Serpentine Gallery, London, (3 October 2018 – 10 February 2019). Copyright readsread.info. Courtesy of the artist and Serpentine Galleries

Nei recenti dibattiti filosofici, il neologismo “correlazionismo” viene usato come termine generico per designare le modalità di pensiero appartenenti ad una tradizione kantiana che posiziona il soggetto al centro della conoscenza, seguendo la dialettica soggetto/oggetto. Il pensiero è sempre legato al mondo, così come il mondo appare sempre ad un soggetto pensante. Ma è possibile andare oltre questa relazionalità? È possibile oltrepassare il pensiero antropocentrico, il nostro proprio umwelt — per usare il termine tedesco per “ambiente” oppure, più precisamente, nel senso in cui Jacob von Uexküll usò lo stesso termine per descrive “il mondo così com’è percepito e compreso da un organismo”?
Il modo in cui percepiamo il nostro ambiente è specifico ai nostri parametri sensoriali. In quanto soggetti senzienti, forgiamo mondi che sono, inevitabilmente, fine a se stessi. Tuttavia, davanti agli schermi di Huyghe il nostro sguardo subisce una sorta di feedback loop: il nostro processo di costruzione di immagini cerebrale testimonia la ricostruzione tecnologica di quel stesso processo. Gli schermi sono finestre in un altro umwelt, in un’altra immaginazione. Huyghe chiama questa esperienza UUmwelt – il disfacimento del mondo così come lo percepiamo.

Pierre Huyghe: UUmwelt, Installation view, Serpentine Gallery, London, (3 October 2018 – 10 February 2019). Copyright readsread.info. Courtesy of the artist and Serpentine Galleries

L’attività di “foraggiamento” intrapresa dall’intelligenza artificiale nella sua disperata ricostruzione dell’attività cerebrale umana sembra avere un comportamento inquietantemente animalesco, quasi istintivo. Nei complessi sistemi di Huyghe, le separazioni categoriali tra natura e cultura, tra materiale animato e inanimato, sono sempre messe in questione. La sovrapposizione tra il biotico e l’abiotico è ulteriormente erosa dal fatto che i ritmi e le pause all’interno della frenetica successione di immagini sugli schermi a LED sono monitorati da determinate condizioni nella galleria che vengono rilevate da sensori, come ad esempio la fluttuazione della temperatura e dell’umidità, insieme ai movimenti della colonia di mosche che l’artista ha rilasciato nello spazio. Tutti questi elementi partecipano in un ecosistema rizomatico che unisce attori umani, animali e tecnologici. Ognuno di questi elementi può essere indifferente agli altri, ma non possono fare a meno di influenzare ciò che diventa visibile sugli schermi.
La mostra ospita anche una versione di Timekeeper (1999), in cui una parte del muro dello spazio espositivo viene raschiata per rivelare gli strati di vernice delle mostre precedenti. Un’archeologia attraverso il palinsesto del fallace “white” cube, è un gesto site-specific che unisce spazio e tempo.
Pietro Scammacca

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