MANTOVA, EAST COAST

di - 12 Dicembre 2008
La Galleria Bonelli è un caso singolare nel panorama italiano. Nel 1984 Evaristo Bonelli fondava lo spazio mantovano che il prossimo anno festeggerà il quarto di secolo e che rappresenta figure di primo piano del Novecento italiano come Birolli e Licini. In tempi più recenti, a esso si è affiancata BonelliArte diretta dal figlio Giovanni, nata per promuovere la nuova figurazione pittorica con artisti come Paul Beel, Federico Lombardo e Wainer Vaccari, con intrusioni nell’aniconico (Davide Nido), nella scultura (Corrado Bonomi) e nella fotografia (Nicola Vinci).
Oggi l’impresa di Bonelli padre e figlio può contare anche su BonelliLab, uno spazio museale a Canneto sull’Oglio, nato nella storica struttura industriale dove si produceva la bambola Furga, e su una sede estiva a Sirmione del Garda.
Un vero impero, che ha fatto un pezzo di storia del collezionismo italiano e ha allevato una generazione di curatori e artisti. Ma anche una presenza scomoda e avversata dal sistema italiano, come responsabile della diffusione di un gusto disimpegnato e commerciale, tipicamente italiano.
Sarà anche per quest’avversione che sotto silenzio è passata l’ultima scommessa della famiglia Bonelli. A Los Angeles da un anno e mezzo, nel cuore del gruppo di gallerie insediatesi a Chinatown, s’è aggiunta la Bonelli Contemporary. L’intenzione dichiarata è di mostrare una nuova faccia, tentando la via della ricerca. Ce la farà?
Cosa ti è venuto in mente… Aprire una galleria a Los Angeles?
Los Angeles è un’altra dimensione rispetto all’Europa e una galleria italiana che intenda sostenere una seconda sede là deve affrontare diverse difficoltà, anche per banali problemi come la differenza di fuso orario. Ma Los Angeles è soprattutto un luogo di frontiera, pieno di contraddizioni sociali e fermenti culturali, condizioni che stimolano la creatività. È una città dove la libertà di creare è alla base dei rapporti sociali e la ricerca artistica ha un posto di primo piano. Per questo, nonostante le difficoltà, ne valeva la pena. L’obiettivo primario che ci siamo posti è cogliere questi fermenti culturali e selezionare sul posto alcuni giovani talenti emergenti.

La galleria è aperta da un anno e mezzo: cosa è oggi Bonelli Contemporary e a cosa punta?
All’inizio l’obiettivo era duplice: da un lato offrire ad artisti italiani di spiccata personalità e qualità del lavoro una ribalta internazionale e competitiva, dall’altro istituire un osservatorio privilegiato su un territorio così fertile. Diciamo che, con il passare del tempo, il secondo fronte di interesse sta prendendo il sopravvento.

Sembra un cambio di rotta rispetto alla tua attività storica, nel verso della ricerca…
In effetti, la ricerca è una caratteristica tipica di questo territorio che sembra interessante cogliere. Tuttavia, sono convinto che ci sono artisti con i quali lavoro che possono reggere il confronto e dialogare in questo contesto.

I programmi futuri?
Innanzitutto sono in cantiere alcune collettive organizzate da curatori locali, o comunque americani, che servono a creare un tessuto di relazioni ma che costituiscono anche occasioni ideali per comprendere fino in fondo il sostrato culturale nel quale ci muoviamo. Un esempio è stato il progetto di Omar Lopez-Chahoud, artista e curatore indipendente newyorkese, a dicembre una collettiva in collaborazione con la Galleria Circus di LA. Quindi sono in programma un paio di personali con artisti americani. Nel programma annuale saranno inserite una o due personali (al massimo) di artisti italiani. Uno sarà Fulvio di Piazza, che mi pare abbia un lavoro che possa essere in linea con un certo gusto losangelino.

Che idea ti sei fatto dello scenario e del sistema losangelino?
Diversificato, stratificato e complesso… Qui a Chinatown c’è un bel gruppo di gallerie che presentano artisti giovanissimi, spesso alla prima mostra, è dunque una zona di grande ricerca. Culver City è un’area di gallerie più strutturate, con sedi anche in Europa o spazi che ricordano quelli newyorkesi. Poi ci sono situazioni isolate, inserite nello star system mondiale come Gagosian a Beverly Hills o Regen. La nostra scelta è caduta su Chinatown perché ci sentiamo vicini allo spirito di questa zona: intendiamo cioè collaborare e dialogare con le scuole e le accademie, che qui sono di buon livello, con i giovani curatori e i giovani artisti.

Com’è stata presa dai tuoi colleghi italiani questa tua scelta di bilocarti a Los Angeles?
Molti non capiscono la scelta di aver aperto qui e non a New York, città con la quale l’Italia ha rapporti storici radicati. Ma a New York tutto è più strutturato e organizzato; Los Angeles è invece, nel bene e nel male, il luogo della creatività pura e istintiva.

Per finire, un’opinione sul sistema italiano che, al contrario di quello losangelino, hai avuto tempo per conoscere bene.
Quello italiano è un sistema di piccoli sistemi, una serie di micromondi impermeabili che non interagiscono e sembrano ignorarsi. Sono tutti sistemi legittimi, che esprimono economie autonome e che hanno perfezionato canali per intercettare e alimentare collezionisti e investitori. Non credo all’esistenza di sistemi di serie A o di serie B, esistono buoni artisti, buoni lavori, e cattivi. A me piacerebbe, so che è impresa difficile se non utopica, diventare una realtà trasversale e puntare sulla qualità del lavoro a ogni livello. Se devo essere franco, ho la sensazione che artisti, galleristi e curatori italiani dovrebbero essere più consapevoli di ciò che accade nel mondo. Non nel mondo ristretto che si sono immaginati intorno, ma nel mondo inteso nelle sue diversità. Negli States non esiste un solo sistema e non esiste una sola arte americana. Non è raro vedere transitare artisti e curatori dall’uno all’altro sistema così com’è naturale per le gallerie esplorare vari ambiti di ricerca contemporaneamente. Non ci sono pregiudizi. In Italia questo è pressoché impossibile e ogni soggetto del sistema ha una sua etichetta, un recinto chiuso di destinazione. Io credo invece che sia giusto mettersi sempre in discussione e non accontentarsi dei traguardi raggiunti. E credo che questa scelta impegnativa di aprire uno spazio a Los Angeles lo dimostri.

a cura di alfredo sigolo


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 53. Te l’eri perso? Abbonati!

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Visualizza commenti

  • notizie scontate. State creando un personaggio "Bonelli" che non esiste nell'arte vera.
    Farete la fine di Arte della Mondadori....novella 2000 dell' ( arte )
    w il giornale dell'arte

  • Peccato Lucia, così alimenti solo lo status quo. Bonelli è giovane, forse troppo entusiasta, lavora in maniera diversa, ma l'Italia ha bisogno di queste figure. Certo se ti va bene il Giornale dell'Arte allora non c'è discorso che tenga.

  • Giovanni Bonelli è una persona seria, onesta, che non lascia buffi e che rischia del suo, cara Lucia, il sistema dell'arte italiano ha bisogno di persone così, poi può fare scelte non condivisibili, ma quello è secondario, è democrazia, ma merita tutto il rispetto per la sua onestà intellettuale.

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