Quando l’oggetto racconta una storia

di - 3 Settembre 2016
Circondarsi di oggetti utili, ma dotati di una propria valenza estetica: agli albori della seconda rivoluzione industriale, questa era la regola d’oro indicata da William Morris per il “buon vivere”. Un’esortazione, quella del fondatore del movimento Arts and Crafts,  a unire l’arte alla vita che ritorna spesso in mente visitando la mostra “Stili di vita europei attraverso la ceramica” che fino all’11 settembre è allestita al MIC di Faenza. In fondo, quale mezzo d’espressione più della ceramica ha annullato il confine tra le arti “maggiori” e “minori”, anticipando di secoli la rivoluzione del design? Un progetto corale, che accanto al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza raccoglie i contributi di altre importanti Istituzioni europee che hanno accolto o accoglieranno la mostra nei prossimi mesi, come il Muzej Primenjene Umetnosti di Belgrado, il Porzellanikon di Selb, il Museo Nacional de Cerámica y Artes Suntuarias “González Martí” di Valencia, il  Potteries Museum & Art Gallery di Stoke on Trent e l’Estonian Museum of Applied Art and Design di Tallin.

La mostra “Stili di vita europei attraverso la ceramica” è difatti solo uno dei dieci moduli in cui si articola il progetto “Ceramics and its dimension”, approvato e cofinanziato dalla Commissione Europea nel programma “Europa Creativa” e che comprende, tra le tante iniziative correlate, la realizzazione di un archivio europeo della ceramica; la raccolta di materiale filmografico e pubblicitario che ne testimoni l’utilizzo in età contemporanea; la creazione di una casa virtuale della ceramica, unendo i Paesi aderenti al progetto in un percorso unico di promozione attraverso la didattica, l’organizzazione di convegni e di eventi espositivi. Una ricerca complessa e multidisciplinare sulla ceramica diretta allo stimolo di nuove idee nel campo dell’arte, dell’artigianato e del design. L’obiettivo è la creazione di una visione d’insieme sulla pratica e la tradizione della ceramica europea, fino ad oggi ancora troppo frazionata in usi e costumi locali. Ciascun territorio coinvolto, apporta al progetto conoscenze sulla propria tipologia, sul proprio gusto, sulla propria arte ceramica.

E se, come dicevamo, con la ceramica l’arte incontra la quotidianità, la mostra di Faenza si può leggere come un lungo e appassionato racconto sui nostri stili di vita, sui cambiamenti delle nostre abitudini alimentari e non solo, dal XVII secolo fino ai giorni nostri. Più di duecento gli oggetti esposti: servizi per la tavola, vasi, zuppiere, calamai, brocche, scaldini, piastrelle, comprendendo anche gli esempi di un utilizzo del mezzo più propriamente artistico che mettono in luce la tecnica ceramica occidentale in ogni sua applicazione. “Per ogni secolo – scrive Claudia Casali, direttrice del MIC, nel catalogo che accompagna la mostra di cui è curatrice insieme a Valentina Mazzotti – sono stati scelti pezzi rappresentativi ad illustrare una storia non solo della ceramica, ma ricca anche di spunti socio-antropologici. Leggere l’evoluzione dei manufatti in termini di forme, decorazioni, funzionalità significa comprendere il progresso, il miglioramento, la crescita di una Nazione”.
Per migliorarne la lettura e la comprensione per un pubblico di non addetti, la mostra si arricchisce di ricostruzioni di ambientazioni che mettono in relazione maggiormente la ceramica al suo uso quotidiano. Per esempio, un tipica credenza rinascimentale ci presenta il gusto seicentesco per le ceramiche stemmate e la diffusione dei “bianchi di Faenza”, come venivano chiamate le ceramiche realizzate nella cittadina romagnola che in età barocca sostituirono sulle tavole dei nobili l’utilizzo di metalli e argenti, rinnovando così i gusti e i codici stilistici. Al candore delle ceramiche italiche la Spagna rispose con l’introduzione di piastrelle colorate e dipinte – come le celebri Azulejos, per esempio – che riuniscono in sé la tradizione decorativa cinese a quella araba, e che da Valencia si diffusero presto in tutta Europa, passando anche per l’Italia. Il gusto settecentesco è invece stato dominato dalla Germania e ha trovato il suo centro di produzione in Meissen, dove nel 1708 l’alchimista Johan Friedrich Böttger scopre il segreto della ceramica dura, una tecnica che apre la strada a nuovi centri di produzione in Europa come Sèvres, Limoges, Venezia e Capodimonte.

L’ambientazione scelta per il Settecento, ci mostra la diffusione del consumo delle bevande esotiche che giungevano dall’America e dalle Indie, caffè e cioccolata in particolar modo. Oggi d’uso comune, caffè e cioccolata sono stati per lungo tempo un piacere al solo appannaggio di signori e nobiltà, diventando un vero e proprio status symbol di agiatezza sociale, e affermandosi in seguito come moda anche tra la classe borghese. Nel secolo successivo, il rigore e l’eleganza neoclassica si è evoluto presto in un pittoresco revival degli stili del passato che si è unito e  mescolato ai nuovi motivi orientaleggianti: alle cineserie conosciute già da tempo in Europa si affiancano le giapponeserie diffusosi attraverso le grandi Esposizioni Universali. L’ambientazione del Novecento presente in mostra coniuga un mobilio in stile déco con manufatti in vetro e ceramica prodotti da due tra i più importanti maestri ceramisti faentini, ovvero Melandri e Gatti. Pian piano la ceramica evolve, fino a diventare un mezzo espressivo autonomo tra i più sperimentati anche dalla giovani generazioni d’artista. Lasciata la mostra e continuando la visita nelle altre sale del museo, si ripercorrono così i grandi movimenti della storia dell’arte contemporanea incontrando opere dei grandi maestri, tra cui Fontana, Martini, Ontani e Picasso – per citare solo i più famosi e riconosciuti che si affiancano alle nuove leve dell’arte, promosse attivamente dal museo con il  Premio Faenza, i cui vincitori sono riuniti nelle sale successive.
Leonardo Regano

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