Surrealmente realtà

di - 5 Maggio 2018
Il viaggio nel surreale e magico universo di Paolo Ventura (1968, Milano), ex fotografo di moda, regista, costumista, trasformista, diversamente illusionista dell’immagine, incomincia al piano terra nell’Armani/Silos, con la prima importante mostra personale milanese intitolata “Racconti immaginari”.
Qui sono esposte circa cento opere tra fotografie, scenografie e alcuni oggetti selezionati dall’autore, come reperti di percorsi reali e visionari insieme. Descrivere i suoi lavori è complesso, perché ogni sequenza inscena un mondo e narra una storia, ispirata alle inquadrature tratte da film senza sonoro, o vecchie fotografie: più facile è lasciarsi trasportare dentro un viaggio ai confini del tempo, prospettive dai cromatismi ipnotizzanti e dall’appeal estetico irresistibile, incastonate in magiche atmosfere stranianti indagate con accuratissima analiticità.
L’autore mescola fotografia, performance, illustrazione, teatro e pittura, “scrive” narrazioni visive, ed è regista, attore performer dei sui stessi racconti immaginari e set teatrali con la moglie Kim, il figlio Primo e il fratello gemello Andrea, immortalati nelle sue fotografie, come personaggi stralunati, in cerca di autore e di un set tutto da inventare, di chissà quale palcoscenico. Le sue illusionistiche fotografie sono il risultato di fasi di elaborazione diverse, sospese nel tempo e nello spazio, in cui mito, fiaba, gioco e narrazione, cinema e illustrazione si fondono in maniera armonica, e probabilmente sarebbero piaciute a Georges Melies, scenografo di viaggi nell’impossibile e all’attore e regista Joseph Frank Buster Keaton, mito del cinema muto.
Il percorso espositivo nelle sale austere dell’Armani/Silos si apre con La cercatrice di Conchiglie, tre opere realizzate espressamente per la mostra, per proseguire con The Automaton (2010): un racconto visivo di un uomo che per sopravvivere alla solitudine crea un automa per tenersi compagnia. Questa inquietante storia dalle atmosfere dark, la raccontava il padre di Ventura quando era piccolo, tratta da una novella olandese del Cinquecento. L’autore riambienta l’episodio durante lo sgombro del Ghetto di Venezia nel 1943, ed è inscenata come un incubo, un’allucinazione con ambienti claustrofobici e solitari. Sono immagini apparentemente surreali, ma in realtà smuovono riflessioni sull’assurdità della questione razziale, dell’olocausto e della guerra. Il suo universo, in bilico tra realtà ed enigma, è valorizzato da una tavola cromatica diafana, che sembra smaterializzare i soggetti rappresentati, suggerendo una nuova dimensione straniante, incentrata sul desiderio di meravigliare, sorprendere, incantare e mettere in discussione i limiti oggettivi della fotografia attraverso associazioni a mondi lontani che trascendono la realtà.
Racconti Immaginari, Paolo Ventura, vista della mostra Armani Silos
Creatore e osservatore, fotografo e attore, Ventura ha narrato attraverso immagini verosimiglianti storie di guerra, illusionismi magici, dal tratto costruttivo di matrice figurativa, della “Nuova Oggettività” tedesca filtrata dal Surrealismo e dalle atmosfere sospese del “Realismo Magico” italiano, mescolando una componente “verista” con quella “visionaria”. L’esposizione prosegue con la sala dedicata a una serie di opere tratte da La Città infinita (2013-2018), ritratta come se sbirciata dal finestrino di un treno quando l’attraversa, ispirata ai paesaggi urbani di Mario Sironi dagli edifici geometrizzanti, vedute kafkiane dalle metafisiche architetture con poche finestre nere, in cui l’ospite inatteso sembra essere il cittadino, fagocitato da una selva di cemento, annichilito dalla solitudine e pochi alberi rinsecchiti e spogli.
Sono “cartoline” di città invivibili dalla luce fredda, metallica e artificiale che si inserisce perfettamente in una struttura compositiva studiate nei particolari, giocata su una maglia di linee verticali e orizzontali, ispirate al purismo della pittura degli anni Venti. Segue in un’altra sala Short Stories (2013-2015), scenette visionarie in cui i protagonisti sono maghi, giocolieri, lanciatori di coltelli, esploratori dell’assurdo e bambini imprevedibili simili a marionette o soldatini, convincenti nei loro abiti vintage, anni Trenta e Quaranta. Queste fotografie studiate come set teatrali vanno oltre la superficie e la tensione formale estremamente raffinata per intrecci narrativi e visivi, in cui ogni dettaglio assume nuovi significati traboccanti di humor nero e di folgorante ironia.
Racconti Immaginari, Paolo Ventura, vista della mostra Armani Silos
L’autore, appassionato di diorami ispirati alla Seconda Guerra Mondiale in Italia, basandosi suoi ricordi e sulle storie raccontate dalla nonna materna, nel 2006 pubblica War Souvenir, un lavoro che ha riscosso successo di pubblico e critica, esposto in tutto il mondo. Rivelano la sua abilità manuale le sue sculture di carta composte da fotografie tridimensionali disposte lungo il percorso della mostra, dal titolo Un reggimento napoleonico va sotto la neve, Il Funerale dell’Anarchico e Looking into The Darkness, che si distinguono per quel marcato riferimento ai giochi d’infanzia, ai soldatini di piombo o alle storielle illustrate del “Corriere dei Piccoli”, dal dettaglio rivelatorio e sorprendente, che con apparente levità fanno pensare alla brutale arte della guerra coltivata da fedeli osservanti di ieri e di oggi.
Nel lavoro di Ventura il travestimento, il trucco, l’allestimento degli oggetti, gli sfondi ricostruiti nel suo studio, sono elementi importanti quanto i colori per il pittore, infatti il suo lavoro è stato fonte d’ispirazione per la realizzazione di scenografie e costumi per molteplici opere del Lyric Opera of Chicago e del Teatro Regio a Torino. Questi e altri espedienti scenici attraverso la fotografia costituiscono i suoi racconti visionari che evocano comportamenti soggettivi e collettivi insieme. Merita attenzione il documentario The Vanishing man (2014), realizzato dal regista Erik van Empel sulla vita e le opere di Paolo Ventura, incantevoli come il suo sguardo sul mondo, ritratto con spostamenti di prospettive tra vicinanza e lontananza davvero inusuali, in cui la luce e le ombre modellano un diario soggettivo di ricordi, scenari di libertà espressiva di incubi e sogni di un’umanità varia e forse avariata.
Jacqueline Ceresoli

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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