Una lezione americana

di - 24 Marzo 2012
Nel 2007 a causa degli abusi del capitalismo finanziario targato Usa, si è parlato per la prima volta di esplosione della bolla speculativa. Rapidamente l’intero sistema bancario americano è stato “contagiato” e ha investito anche le economie più deboli degli stati europei. Di fronte all’evento, l’America ha messo in discussione proprio quell’american style che l’ha contraddistinta e un terzo dei suoi abitanti ha cessato di credere nel sogno del self-made-man. Perse le certezze riguardo lavoro, casa, opportunità per i propri figli, rendita finanziaria sicura, il sogno americano si sta profilando al tramonto. Ma se quel sogno è messo in discussione, emergono d’altra parte nuove istanze capaci di unificare gli individui, non più sulla base di ideologie nazionalistiche e del denaro come affermazione sociale, ma con una visione di mondo globale, oltre gli ismi: egoismo, razzismo, nazionalismo. “Società empatica”, invece. Ovvero: capacità, spiega Jeremy Rifkin, di immedesimarci nei sentimenti dei nostri simili per lo sviluppo sostenibile della società umana, dando nuova consistenza alle nozioni di etica e di morale.
È in questa realtà socio-economica e politico-culturale che un nucleo dell’arte propone una sua via come significante estetico, la sua “lezione” per sognare di nuovo e guardare al futuro. Questo è l’ambito che dà senso ad “American Dreamers. Realtà e immaginazione nell’arte contemporanea americana”, la mostra ospitata alla Strozzina di Firenze fino al 15 luglio, che testimonia la volontà degli artisti di fuggire dalla realtà per costruirne un’altra, propria, di pura immaginazione. Una «fuga dal caos e dall’indifferenza del mondo circostante», come afferma il curatore Bartholomew Bland.
Gli undici artisti, Adam Cvijanovic, Adrien Broom, Christy Rupp, Kirsten Hassenfeld, Laura Ball, Mandy Greer, Nick Cave, Patrick Jacobs, Richard Deon, Thomas Doyle, Will Cotton, nati tra il 1949 e il 1980, con le loro opere modulano un percorso espositivo caratterizzato da tipologie estetiche differenti per l’uso di materiali e di tecniche che vanno dalla pittura all’installazione, dalla fotografia all’acquerello. Non veicolando concettualmente nel proprio lavoro istanze di denuncia frontali, è nel profilo individuale dell’artista che emerge come sia arrivato il tempo di rimpiazzare il sogno americano e guardare oltre i modelli consumistici di un capitalismo invecchiato a favore di uno spirito che lega l’umanità attraverso un senso creativo universale e tramite la rete, la vera grande comunità contemporanea.
La fuga dal caos e dall’indifferenza del mondo circostante di cui parla il curatore, emerge da opere che sono davvero una fuga nella fantasia, nel proprio sé, per ricostruire nuove relazioni con l’intera comunità dei viventi. Gli american dreamers tornano nel proprio studio a ricercare e costruire, a riflettere sul concetto di orizzonte che, come il sogno, non è mai “uno solo”.
La dimensione onirica e un simbolismo che apre all’interpretazione contraddistinguono gli acquerelli di Laura Ball e le serie fotografiche di Adrien Broom. Le sculture di Nick Cave sono maschere, abiti indossabili realizzati con materiali semplici come tela e bottoni, lane intessute all’uncinetto, con la funzione di costumi che celano l’identità dell’individuo, dandogli però libertà di espressione. Will Cotton e Adam Cvijanovic propongono dipinti di grandi dimensioni. Per le sue donne esibizioniste, protagoniste del mondo dello spettacolo come l’icona del pop contemporaneo Katy Perry o del burlesque, Cotton attinge dalla realtà quotidiana, sollecitando il voyeurismo dello spettatore. Quando raffigura la campagna operosa con casa e pick-up, Cvijanovic propone i valori simbolici del sogno americano con una visione talvolta atemporale o apocalittica quando, invece, raffigura gli stessi simboli in collisione gli uni contro gli altri con il chiaro riferimento alla fragilità d’impattare con l’imprevisto, il disastro, finanziario o naturale che sia.
L’estetica del diorama caratterizza il lavoro di Thomas Doyle e Patrick Jacobs, ma per entrambi l’osservatore è da tenere a distanza di visione: una campana di vetro per il primo, una lente ottica per il secondo. Tema ricorrente di Thomas Doyle è la casa, la villetta monofamiliare e il suo giardino: l’home, simbolo della borghesia americana. Un unicum a prima vista ameno, ma soffermandoci nella visione le fondamenta risultano sprofondate, le case sventrate, l’intero equilibrio statico precario o inesistente. Chiaro il riferimento alle sicurezze infrante della middle class, considerata la struttura politica, civile e morale dell’America. I diorami di Patrick Jacobs sono una sorta di oblò installati nel muro e la lente è l’occhio che cattura lo spazio naturale o il dettaglio architettonico, combinando immagine fotografica e pittura nella maniera che si traduce in una distorsione prospettica nella quale è catturato per sempre “il paradiso perduto” dell’umanità.

Una manualità capace di unire il sapere artigianale con la cifra creativa, accomuna il fare arte di Kirsten Hassenfeld, Christy Rupp e Mandy Greer. Le accumulazioni di materiali come la carta e le cannucce riciclate della Hassenfeld, le ossa recuperate dai fast food di Rupp e materiali pseudo-preziosi della Greer, propongono una sorta di sospensione lirica tra arte e gioco, sollecitando sensazioni crepuscolari. Richard Deon attinge all’iconocografia dei libri scolastici americani degli anni Cinquanta e ne trasforma il senso. Una grafica narrativa, la sua, di tendenza pop. Il personaggio ricorrente, chiamato Il Soggetto, non ha più né funzione né significato, è “fuori posto”, non è più tra i protagonisti del consensus history, sollecitato proprio dai libri di educazione civica.

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