Wunderkammer City, veduta della mostra, Trento, 2025, ph. Adele Bea Cipste
Sin dalle sue origini seicentesche, la “camera delle meraviglie” ha rappresentato uno spazio privilegiato: raccolta privata di rarità esotiche e curiosità naturalistiche, destinata a un pubblico selezionato e aristocratico. La mostra Wunderkammer City, ideata dal collettivo Museo Wunderkammer – MWK — fondato da Luca Bertoldi e Giusi Campisi — e curata da Marco Scotini e Andris Brinkmanis, propone invece una rilettura critica e politica del concetto tradizionale di Wunderkammer. Lungi dal celebrare l’esotico e il raro, il progetto si concentra su ciò che è quotidiano, marginale, talvolta rimosso: una “camera delle meraviglie” costruita non sull’accumulazione di oggetti preziosi, ma sugli immaginari e le esperienze condivise, in un dialogo aperto tra istituzioni e cittadinanza.
La mostra si configura come un dispositivo ibrido, capace di intrecciare pratiche artistiche, azione politica e ricerca storica, sovvertendo le dicotomie fondative della museologia occidentale: esotico e locale, aristocratico e popolare, esclusività e collaborazione. In questa prospettiva, MWK agisce come dispositivo estetico e politico, in grado di mettere in tensione le relazioni tra istituzioni e cittadini, tra memorie collettive e politiche urbane.
L’esposizione si articola in tre sezioni che riflettono i principali ambiti di ricerca del collettivo: Wunderkammer (Mirabilia dell’ordinario), Cartografie dell’urbano (Eventi, immaginari e luoghi) e Archivio (Memorie rimosse e presenti inediti). Fin dalla Collezione di Immaginari Urbani (2014), intervento inaugurale del gruppo, emerge la volontà di “demuseificare” l’esperienza urbana, opponendosi a una museificazione che sottrae vitalità agli spazi e alle memorie vissute. Opere come Riproduzioni. La messa in scena del possibile (2016) e Mondotheque (2017) interrogano i confini tra originale e copia, tra verità e finzione, mostrando come tali categorie siano costruzioni politiche più che valori intrinseci. Allo stesso modo, After Utopia (2017) documenta la transizione degli spazi culturali sloveni del dopoguerra, mettendo in evidenza la precarietà del lavoro culturale contemporaneo. In Space is the only noise (2019), la riflessione si concentra infine sui dispositivi museali stessi, privati di contenuto per evidenziarne la natura regolativa e astratta.
Il rapporto con la città, in particolare con Trento, costituisce il nucleo pulsante della ricerca di MWK. Qui lo spazio urbano diventa esso stesso una Wunderkammer, non ordinata secondo criteri di rarità, ma attraversata da frammenti di memoria, gesti politici, affezioni personali. Interventi come Utopia (2015) e Mobilità Sociale (2019) mettono in scena pratiche di occupazione temporanea e riuso che sfuggono alla pianificazione ufficiale, generando forme di sospensione e possibilità.
Spazi come la Cappella del Simonino o la Palazzina Gialla vengono riattivati non come luoghi di conservazione ma come catalizzatori di esperienze collettive e temporanee. In questo senso, MWK sembra incarnare la definizione di Michel de Certeau dello spazio come “pratica del luogo”: un luogo che esiste solo se attraversato e agito.
Un ulteriore asse della ricerca è rappresentato dal lavoro con l’archivio, concepito non come strumento di conservazione, ma come campo di possibilità. In 78 (2015), materiali eterogenei ricompongono la memoria dell’omicidio politico di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, dando vita a una narrazione corale in cui dimensione memoriale e politica si intrecciano. Con Rosa Trento (2024), invece, l’archivio del Tribunale di Trento diventa materia viva per la costruzione di un monumento effimero dedicato alle 263 donne incriminate per aborto clandestino nel 1974: un’operazione che non si limita alla commemorazione, ma interroga radicalmente il ruolo del monumento e il rapporto tra memoria pubblica e soggetti storicamente esclusi. Come sottolinea Aleida Assmann, “l’archivio è il luogo della potenzialità del passato” e MWK ne fa uno strumento per riattivare memorie sommerse e generare nuovi orizzonti presenti.
Wunderkammer City si presenta come un dispositivo in tensione permanente, capace di trasformare il paradigma della Wunderkammer aristocratica in un archivio vivo dell’ordinario e del marginale. In questo contesto, l’esotico lascia il posto al quotidiano, l’esclusivo alla condivisione, l’oggetto raro all’esperienza collettiva. Il museo si configura come corpo nomade, attraversato da relazioni e pratiche situate, mentre la città non è più sfondo, ma materia stessa della mostra.
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