La galleria Lorcan O’Neill, vetrina romana della swinging London, propone Sam Taylor Wood, un’altra reginetta della new wave britannica, dopo la bad girl Tracey Emin, seguendo il trend culminato nella recente personale di Damien Hirst al Museo Archeologico di Napoli.
La fotografia, tra i media più in voga in questo momento, torna a spopolare con la serie Self Portrait Suspended, esposta in una delle sale. Le stampe sono una variazione sul tema dell’identità, colta in uno scorcio intimo e rarefatto del proprio loft londinese. L’artista, vestita soltanto di lingerie danza nello spazio, apparentemente sospesa. In realtà, le corde che la tengono legata sono rimosse tramite un camouflage digitale; la fotografia, dunque, come strumento di una ricerca che sconfina dal semplice reportage, per involarsi –è proprio il caso di dire– nell’ultra-visibile.
La dimensione mistica delle scene –una specie di Transverberazione berniniana– è esaltata dall’arredo scarno dello spazio: pareti bianchissime, vetrate a giorno, pavimento in parquet. La luce sembra rapire nel suo alone il corpo della Wood, come in ascensione; nonostante lo sforzo muscolare, pare che le membra ricadano morbidamente, sfidando la forza di gravità. Ad attrarle è un’energia latente e insondabile, che trascende la sfera sensibile. Il corpo è metafora di una condizione terrena precaria e corruttibile, che l’artista ha sperimentato personalmente attraverso la malattia. Ciononostante, questi lavori mostrano come sia riuscita a sublimare il dolore in chiave onirica, attingendo all’infinito potenziale immaginifico dell’arte. Librata in un limbo intermedio tra il qui e l’altrove, è intangibile e ovattata: nulla sembra poter scalfire il suo oblio, liberatasi finalmente d’ogni peso corporeo.
Sul fronte opposto, il corpo, non più anestetizzato, riemerge in tutta la sua carnalità in The Passion Cycle: un gruppo di venticinque light-boxes, che mostrano le diverse fasi di un amplesso, similmente alle stazioni della Croce. L’analogia, apparentemente blasfema, se da un lato esalta la componente vitalistica dell’amore, dall’altro ne svela l’ineluttabile sofferenza. La sessualità è vista come veicolo di trascendenza, di totale alienazione di sé, per molti aspetti vicina alla morte. Una riflessione tanto più amara, quanto più la fotografia e la memoria tecnologica dovrebbero conservare una traccia perenne della realtà. Al contrario, per sentire, occorre lasciarsi permeare dagli stimoli esterni, immergersi nel turbine dell’esistenza, perdersi nell’altro, accettare la propria vanitas. Altrimenti, l’unico stato di grazia è quello della pura immaterialità, immune da qualsiasi ebbrezza, o tempesta emotiva.
E il dramma segreto di Sam Taylor Wood sembra consumarsi in questa eterna lacerazione: tra la passione per la vita, effimera e imprevedibile, o l’imperturbabilità della trascendenza.
maria egizia fiaschetti
mostra visitata il 24 gennaio 2005
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