Un intervento di polizia filmato di nascosto nel 2000 diventa l’oggetto per la prima personale italiana della fotografa e videoartista tedesca Bettina Pousttchi (Magonza, 1971).
Le scene fotografate, apparentemente identiche tra loro, s’affacciano dalla grigia di una finestra sullo sfocato grigiore di sequenze più immaginabili che identificabili con chiarezza. C’è una storia dietro, cui si rimane più o meno estranei, ma incuriositi dal susseguirsi degli eventi. Un senso d’impotenza o di fastidio viene enfatizzato dalla imperturbabilità dell’inquadratura che impone il suo come unico punto di vista e non permette di sbirciare, di alzare la tapparella per percepire più consapevolmente quanto accade. L’osservatore si ritrova imbrigliato in un senso d’apatia, di sensazioni appannate, di ricordi lontani.
Eppure il soggetto è attuale più che mai e sembrerebbe richiedere un diverso pathos della rappresentazione. Invece lo stato forte che dà il titolo alla mostra, evocativo di scene di dispotismo viste, raccontate o sciaguratemente vissute viene fermato dalle fotografie di Bettina con la stessa immobilità di chi non ha la possibilità dichiarare il proprio modo di pensare, di sentire o di esistere. Lo stato forte rende impotenti, pare talvolta riuscire ad annichilire anche la capacità di giudizio, dichiarando il proprio potere vessatorio sulla normale funzione di ogni essere pensante. Il cogito ergo sum di memoria cartesiana perde valore, appannato dal senso di smarrimento.
Bettina Pousttchi ha la capacità di render universale un fatto particolare colto e filmato occasionalmente. L’oggetto della scena rimane volutamente distante, rarefatto, perso nella notte dei tempi come se la denuncia fosse ormai pratica desueta. Il documentario a cui si associa diviene freddo mezzo di trasmissione di un fatto, spolverato dagli archivi di una dittatura caduta. Così si continua a scrutare cercando di percepire immagini, sagome, situazioni. Le stessa espressione stato forte rievocano faccende storiche lontane e modernissime: le immagini assolutamente attuali hanno l’impronta di un filmino amatoriale, disturbato e interrotto, la cui sequenza -stoppata sul particolare di ogni scena- archivia tranches emblematiche di fatti senza tempo. La loro attualità rende obsoleto l’utilizzo del bianco e nero, che tuttavia carica d’atmosfera la realtà ambigua su cui l’artista si sofferma.
Da brava cronista, la sua fredda analisi pare non avallare opinioni personali. E lascia che sia il pubblico, spettatore della vicenda attraverso il filtro delle immagini, a rielaborare concettualmente le scene. Che sono forti, sì, ma di una memoria sbiadita.
ilaria marotta
mostra visitata il 18 novembre
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