Prima di entrare nello spazio della Galleria Romberg
bisognerebbe porsi alcune domande preliminari e fondamentali: l’Informale può
sopravvivere autenticamente negli anni Duemila? Se sì, può essere
reinterpretato in chiave personale e intimistica?
Angelica Romeo (Roma, 1970) calca per la prima volta le scene dell’arte
con una personale dal profondo valore emotivo, che evidenzia il ruolo della
pittura nella sua vita come fortemente catartico e catalizzatore all’ennesima
potenza delle vicende del quotidiano, riportate su tela usando molte delle
caratteristiche proprie dell’Informale e dando risalto a tre elementi portanti:
il gesto, il segno, la materia.
Il debito dichiarato di Romeo riporta indietro nel tempo,
al secondo dopoguerra di
Mark Tobey,
Hans Hartung,
Pierre Soulages e
Morris Louis. Tutti maestri che hanno saputo
comprimere la violenza dell’espressione nella metodicità del gesto. L’“allieva”,
a cinquant’anni di distanza, risponde con una pittura larga e geometrica che
parte da una base forte, una cellula dal significato pregnante – di volta in
volta un bozzolo, un quadrato, una matassa, uno slancio verticale – per poi
svilupparla per dominanti di colore, concependo un tessuto pulsante e vibrante
di luce.
Il titolo stesso della mostra,
Azioni
Contrazioni Rivelazioni, rende manifesto il processo costruttivo
delle opere:
Azioni perché l’arte per Romeo nasce sempre da un evento;
Contrazioni indica il contraccolpo necessario
per assorbire il cambiamento;
Rivelazioni esprime il dispiegarsi del dipingere che comprime
l’energia, la quale trova il suo necessario sfogo nello spazio che la circonda.
La sensazione di sentirsi accerchiati è palpabile: le
Impronte
rettangolari (2009), i
Percorsi (2009), i
Muri a colori (2007) si espandono negli spazi neutri della galleria, perché “
è una
pittura che anela al silenzio attorno a sé, al rumore bianco di un viaggio
interiore che parte dal galleggiamento dell’opera, dal suo status privilegiato
nel regno del bianco murale”, scrive il curatore Gianluca Marziani.
Sicuramente avrebbe ragione chi volesse affermare che, con
un allestimento adeguato, anche chi dipinge solo per diletto potrebbe esser scambiato
per un grande artista. Ma non è questo il caso.
Indubbiamente il percorso narrativo che si snoda nelle
quattro sale della galleria è indice di una scelta ragionata, che rende ogni
quadro una particella rappresentativa della serie di cui fa parte. Ma alla fine
è la potente matericità delle opere a parlare, rivelando che l’artista non si è
troppo preoccupata di essere originale, quanto piuttosto di essere autentica.
Ha scelto colori primari, forti, che – come dice lei stessa – “
lasciano un
segno assoluto, una voglia inesorabile di gridare al mondo ‘io esisto’,
un’impronta indelebile volta a colpire diritto il cuore dell’Uomo”.