Il M.L.A.C. ha concluso la sua attività espositiva 2001-2002 con un evento fuori programma, quasi un viaggio in questa trascorsa stagione. ArtconFusion, curata da Maria Egizia Fiaschetti e Agnese Malatesti consacra questa sede quale recettore sensibile e centro di irradiamento delle forme d’arte più innovative e diverse. Si tratta di un’iniziativa in cui convive in maniera spregiudicata e libera tutto e il contrario di tutto. Ogni spazio del museo ha vissuto questo turbinio di attività, a cominciare dalla terrazza che, solo per la serata dell’11 luglio, si è animata di performance in cui la poesia si è confrontata con la musica elettronica ed il teatro. Nella sala inferiore MLAC Digital History ha fatto parlare i
Purtroppo il contenuto di questi due spazi ora non è più visibile. Se nel caso della performance se ne comprende la ragione, la MLAC Digital History invece è stata rimossa per motivi di sicurezza anche se potrebbe essere allestita nuovamente senza difficoltà. Last but not least, rimane la sala superiore che si avvale di un convincente percorso. Sui lati corti si stagliano speculari due videoinstallazioni: una di N. Grenzhauser (Solo Tango, 2000), in cui immagini evanescenti dell’artista travestita da sia da uomo che da donna, divise da un elemento murario della parete raccontano solitudine, incomunicabilità e mancanza di contatto. Anche l’opera video di S. Sharafi (In una stanza grande quanto la solitudine, 2001), già presentata in questa sede, richiama questi concetti: i versi della poesia che dà il nome al video si fondono armoniosamente al coro di una nenia infantile mentre si scontrano con un arido discorso ufficiale: il linguaggio istintivo della poesia e dei bambini è disturbato da un parlare forbito e costruito. Tale sottofondo accompagna le immagini che mostrano una vasca con pesci rossi, riportando alla mente ricordi d’infanzia che si dipanano nel fluire del tempo. Sui lati lunghi si fronteggiano le foto di Eugenio Percossi e di Andrea Malizia. Le prime (Escape) scattate a New York dopo l’11 settembre, suggeriscono la contingenza del panorama cittadino sempre minato dall’incombenza della morte, mentre Malizia seziona particolari anche anatomici che diventano appena riconoscibili alla luce della sua visione allucinata. Infine le opere di I. Fontenla indagano sulle varie rappresentazioni del nostro pianeta da sempre ideate dall’uomo, costringendo alla forma di globo anche le teorie più antiche: in una di queste le semisfere galleggiano in un pulviscolo blu oltremare illuminate da un faro, quasi un sole che lambisce le Terre.
La coerenza dell’intero progetto di mostra salta subito allo sguardo anche del visitatore meno attento. Qui trova spazio ogni espressione artistica dall’effimero della performance fino alla concretezza e alla suggestività dell’installazione. Le pareti della struttura stessa non subiscono passivamente le opere che ospitano ma sembrano partecipare attivamente al racconto di questa storia lunga una stagione: il M.L.A.C. ha confermato la sua natura sperimentale di laboratorio oltre che di spazio.
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