“Io so” scriveva Pier Paolo Pasolini in un celebre articolo, pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974. L’incipit è tassativo, ma il tono del testo non è quello dell’invettiva, piuttosto è un’accorata, lucida dichiarazione intellettuale. Così, a trent’anni dalla morte, al di là di qualsiasi retorica, l’omaggio è naturale: si ricorda lo scrittore, il regista, il poeta e il pensatore appassionato, soprattutto.
Nel calendario denso di tributi e commemorazioni, la mostra allestita a Roma si ritaglia una posizione importante, vuoi per il rapporto strettissimo che legò Pasolini alla Città Eterna, vuoi per la capacità di raccontare utilizzando testi, documenti, immagini come binari paralleli. E riuscendo nel non facile intento di costruire un percorso rigoroso, netto: per ricordare, riannodare fili, allacciare connessioni.
Dell’interesse di Pasolini per l’arte è stato scritto e detto molto: dagli studi a Bologna con Roberto Longhi, alle prove di pittura e disegno, alle fonti iconografiche rintracciabili nel suo cinema, all’amicizia e allo scambio assiduo con gli artisti a lui contemporanei. A questo allestimento va il merito di aver messo insieme un mosaico composito ed eterogeneo di opere ed interventi, che –tra passato e presente– riesce a restituire la complessità del rapporto tra Pasolini e le arti visive: reciprocità di ispirazione (ed è un’ispirazione che lo scrittore continua ad esercitare anche sulle giovani generazioni, basti per questo la lettura dell’articolo di Alfredo Sigolo sull’appena uscito Exibart.onpaper), militanza critica, continua, sentita riflessione.
Fabio Mauri ricorda con un’installazione la performance Intellettuale (documentata dalle foto suggestive di Antonio Masotti), realizzata nel maggio 1975 alla GAM di Bologna: performer d’eccezione proprio Pasolini, seduto su una sedia, in camicia bianca che offriva il proprio petto come schermo per la proiezione del suo Vangelo secondo Matteo.
Di Renzo Vespignani sono esposte quattro opere, immagini cocenti di corpi e luoghi (che poi è il titolo di un libro-album dedicato a Pasolini, a cura di Michele Mancini e Giuseppe Perrella): dall’ombra bituminosa del ponte di ferro, al segno bruciante, tormentato e corroso (come scrivono in catalogo Lorenzo Canova e Federica Pirani) che descrive prostituite, protettori, volti abbrutiti e disperati. Fanno quasi da contraltare le immagini di un artista appartato, ma vicinissimo alla poetica pasoliniana come Bruno Canova: nel suo Quaderno Romano s’incastrano e s’intersecano dettagli d’interni, frammenti di oggetti, paesaggi, dal centro alla periferia, senza soluzione di continuità, sul filo di una memoria lucida nel cogliere il particolare ed evocare le emozioni. Una serie di disegni di Fabrizio Plessi documenta la nascita dell’installazione video Bombay-Bombay (1992) dedicata al viaggio in India di Pasolini. Tra i più giovani: Cerith Wyn Evans rende omaggio allo scrittore nel luogo dove fu ucciso; Piero Pompili fotografa oggi i ragazzi di vita di allora e a questi accosta i ritratti – in un vigoroso b/n – dei figli; Stefania Fabrizi affida a tre figure velate di nero un messaggio di dolente certezza. C’è il paesaggio urbano, periferie e scorci di cielo, ritratti con lenticolare precisione da Giorgio Ortona o con quieta malinconia da Angelo Bellobono. E c’è l’omaggio sognante e delicato di un grande dell’animazione italiana: Essere morti o essere vivi è la stessa cosa (2000), di Gianluigi Toccafondo.
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