Giorgio Scalco (Schio, Vicenza, 1929) è un pittore della memoria. Un artista un po’ controcorrente nel paesaggio dell’arte contemporanea. E non per una semplice questione anagrafica bensì per una scelta precisa. Scalco è un artista di grande cultura pittorica e di notevole capacità tecnica. E non è un caso se al suo esordio, dopo la decorazione, i mosaici e le vetrate delle chiese, c’è stata proprio la pittura d’affresco. Come notava già Vasari l’affresco è la tecnica pittorica più difficile; non permette sbagli e libertà, così vincolata ai cartoni preparatori. Giorgio Scalco ha trasferito nella pittura su tela il rigore di un’esecuzione d’affresco, creando sempre prima un disegno. Poche libertà, concesse soprattutto nei paesaggi tra le nubi, la foschia, l’aria che sfuma i contorni delle case.
Una pittura “pensata”, come le icone che tanto apprezza. I suoi generi sono perlopiù nature morte, paesaggi e ritratti di famiglia. La famiglia è un tema fondamentale nella sua pittura, i soggetti prediletti sono i figli e i nipoti, sempre colti in pose che non permettono un dialogo con lo spettatore. A volte, come per sottolineare ancora di più questo aspetto, Scalco realizza un quadro nel quadro: il soggetto si ripete nel quadro che gli fa da sfondo. Anche le nature morte non sono semplici assemblaggi di oggetti d’uso comune o frutti –oggetti da ritrarre-, sono le cose che realmente gli sono intorno nella vita e che gli appartengono. Più che ritrarre dal vero, il pittore sembra ritrarre il suo vero. Così come ritrae le sue terre, gli altipiani dell’Asiago o la campagna intorno a Roma dove ora vive. Non accetta il presente, nei ritratti come nei paesaggi, dove omette i fabbricati che disturbano la memoria dei posti che tanto ha amato.
Ammira i realisti americani, ma la sua pittura non è iperrealista, mai en plein air, mai minuziosa. Nei suoi quadri si coglie il linguaggio dei grandi maestri veneti -lui stesso dichiara il suo preferito tra questi Bernardo Bellotto– ma non solo. Non solo la pittura, ma anche la struttura dell’immagine guarda all’arte veneta cinquecentesca, con i suoi marmi che accolgono le figura in primo piano e i paesaggi nello sfondo. E c’è il richiamo della pittura fiamminga nelle nature morte, anche qui non solo nei soggetti. La mostra accoglie circa 80 opere, in parte prestate dalla Galleria Forni, realizzate dal 1969 ad oggi: la testimonianza di una lunga carriera. Cominciata nel lontano 1944 copiando Renoir.
valentina correr
mostra visitata il 6 settembre 2005
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