Camere compie quattro anni e festeggia la sua ottava edizione. Il progetto è nato infatti nel 2005 negli spazi di Radio Arte Mobile, autentica “piattaforma” per l’arte contemporanea e in origine radio online nonché archivio di Sound Art. Dal contatto diretto e quotidiano con gli artisti si è sviluppata l’idea d’invitarne di volta in volta tre, assegnando a ciascuno una “camera” per esporre una o più opere. Questa volta gli “inquilini” sono Olafur Eliasson, Giulio Paolini ed Erwin Wurm.
L’idea di fondo consiste nell’osservare, nello spiare quasi la coabitazione “forzata” negli spazi della medesima galleria, pur garantendo a ogni artista un ambiente personale in cui allestire il proprio lavoro.
Erwin Wurm (Bruck an der Mur, 1954; vive a Vienna) sceglie di esporre una delle sue
Fat sculptures, cronologicamente successive alle
One minute sculptures degli anni ’90. L’artista austriaco si è divertito a deformare e distorcere qualsiasi cosa, fino alla figura umana,
come in questo
Ego and Super-ego (2008). Dell’altra opera esposta,
Fear (2007), rimane solo un orsetto di peluche usato in una provocatoria performance, di cui resta traccia nell’archivio del Sound Art Museum consultabile presso il Ram, e uno schizzo esplicativo dell’artista.
Molto semplice nel risultato eppure geniale nel concetto è l’installazione di
Olafur Eliasson (Copenaghen, 1967; vive a Berlino), uno spot direzionato su un grande specchio, in modo da lasciare un solo spicchio non illuminato (
Mirror door, 2008). Siamo ben lontani dalle dimensioni anche psicologiche di lavori quali il
Weather Project (2003), tuttavia non va dimenticato che tutte le installazioni qui sono site specific.
Giulio Paolini (Genova, 1940; vive a Torino) rivela invece un pizzico di sensibilità barocca e mostra il divario tra una sua opera degli anni ’60 (
Ut-op, 1966) e la sua riedizione assolutamente contemporanea (
Senza (più) titolo, 2009). C’è in quest’ultima una certa fragilità, una precarietà fatta di strani equilibri, di sovrapposizioni e di sorprese tridimensionali, oltre che di rimandi divertiti al proprio passato. Un modo di giocare con l’aura dell’“Autore” che Paolini sembra aver accentuato, quasi strizzando l’occhio al visitatore.
La visita non termina con le tre “camere”. Con un pizzico di fortuna si possono intravedere, per esempio,
L’armadio del Mediterraneo di
Michelangelo Pistoletto, nell’ufficio di Ram live, o un’installazione a luce fonosensibile di
Achim Wollscheid, la prima a essere esposta in questi spazi romani.