S’insinua l’occhio, segue una forma bianca imprecisata oltre quel confine inesorabile che è il perimetro della stampa fotografica, cerca gli estermi di una curva morbidissima, che s’avvolge senza soluzione di continuità e potrebbe appartenere tanto ad una scultura (di quelle del filone organico che ebbe tanta fortuna, qualche genio e un bel po’ di epigoni), quanto ad un oggetto qualsiasi…
In questo caso – che va esteso alle altre dodici opere in mostra – si tratta di un oggetto, non qualsiasi bensì di design, che nella galleria Roberto Giustini – quando si chiamava Memphis – era già stato esposto: ora ci ritorna come soggetto
Agli ingrandimenti clamorosi, al gioco dell’irriconoscibile il giovane artista che vive e lavora a Roma ci aveva già abituato (e del resto esiste un vero e proprio filone italiano di fotografi del particolare ad oltranza…): dai fornelli che sembrano costellazioni azzurre, ai tasti enormi di un citofono, deformati in una prospettiva che ruzzola (era uno dei lightbox più riusciti, nel discontinuo allestimento di Via Satellite) a tutti gli altri micromondi che diventano macro consegnati e sospesi nello spazio di una fotografia.
E c’è una tensione sottile che alimenta questo cosmo impazzito, ma così calmo ed imperturbabile: sta tra la curiosità del che cos’è e l’incedere dilatato attraverso il come è, come un rimbalzare continuo tra due categorie del vedere – comprendere; tolto il complemento di specificazione delle cose restano le le forme ed occupano tutta la possibile estensione concessa loro all’interno dell’immagine: consistenza del materiale, sensazioni tattili evocate sotto la superficie inattaccabile della fotografia, sono diventate un altro codice di lettura, un corredo autoreferenziale.
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ti auguro di avere tanto successo perchè sei bravissimo
SEI PROPRIO BRAVO!