“Polipoide” è la definizione che Massimo Giacon (Padova, 1961) dà di sé stesso alludendo alla propria poliedricità, che gli permette di saltare “con disinvoltura dal fumetto all’arte contemporanea, dal design all’animazione, dai videogiochi alla musica”. L’artista è a Roma con due mostre quasi in contemporanea, imperdibili per chi voglia farsi un’idea del suo talento visionario, aderente al pop surrealism, ma per certi versi inclassificabile.
Alla Galleria Mondo Bizzarro, Giacon presenta i suoi ultimi lavori: venti opere digitali su carta fotografica realizzate a partire da programmi di modellazione tridimensionale. Con navigata maestria, l’artista riesce a dare forme dall’espressionistica accentuazione cromatica ad una galleria di malconci cartoon. Hanno occhi sbarrati, lingue penzoloni e assistono increduli alle loro mutazioni. Bag Bunny, sorta di feto nel liquido amniotico, i Tre porcellini col ventre squarciato –dall’esplicito riferimento sessuale-, la mano di Topolino in Fine della storia, mozzata e inchiodata su un ciocco, e tanti altri ancora (bambole inquietanti, coniglietti a pois con facce da teschio, paperi che sbavano). Sono figli dimenticati di una società che riconosce solo il presente, senza compassione per ciò che non serve più. Tenere creature legate all’innocenza corrose dallo stesso male degli umani -degrado sociale e culturale-, dal crescente disagio della civiltà dei consumi.
Rievocazioni infantili che una volta persa ogni funzione ludica, hanno finito per assumere caratteristiche di giocattoli-zombie. Pronti a divorare e a divorarsi.
Le elaborazioni digitali, pezzi unici, sono accompagnate dagli schizzi preparatori a matita, e da una grande tela in PVC intitolata E tutti insieme vogliam vedere -citazione d’una sigla tv di cartoon anni ‘60– dove i soggetti posano insieme in una raccapricciante foto di gruppo. Fanno da sottofondo all’esposizione motivetti dai cartoni animati più celebri, deformati anch’essi come in un dodecafonico accompagnamento funebre.
In simultanea, la galleria Lipanjepuntin presenta S.P.Q.R, retrospettiva in progress il cui titolo è l’acronimo di Sex, Philosophy, Quirks, Religion. Come l’
Il caustico piglio dissacratorio dell’artista, prodotto di libera interazione tra generi e tematiche, non risparmia nessun mito della nostra cultura, sia alta o bassa, religiosa o miscredente, eletta o volgare. Vedere per credere.
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