I suoi occhi non sembrano
proiettare ombre. Sono trasparenti. Come lo sarebbero i vetri della sua Leica
inseriti in una sagoma ritagliata. È la semplice ombra di un uomo su un prato:
un autoritratto del 1991 con cui
Elliott Erwitt (Parigi, 1928; vive a New York)
si presenta nel catalogo della mostra accanto alla propria nota biografica.
Ironico, curioso e indagatore,
Erwitt dipinge una capitale vista e rivista nelle sue innumerevoli incursioni
tra il 1955 e il 2008, da reporter e da viaggiatore. Talvolta pragmatico,
quando riveste il ruolo di giornalista della leggendaria Agenzia Magnum,
talvolta dissacrante, quando vaga per la città alla ricerca di aspetti
sorprendenti. Ma la sua ricerca è costantemente focalizzata sulla gente, anche
quando – di rado – nelle sue fotografie regna la solitudine. Perché allora a
popolare il suo mondo sono le statue, che sembrano vivere e dialogare solo per
effetto delle intuizioni nelle inquadrature e nelle geometrie.
Erwitt invita continuamente l’osservatore
a scoprire il segreto delle sue immagini deserte, come la prospettiva della
Via
Appia Antica (1959), in cui le vestigia romane paiono dialogare animatamente per effetto del
profilo grottesco che si intuisce in una frammentaria paratia in mattoni.
Frutto di una percezione prospettica non meno fantasiosa di quella che gli
suggerisce di “caricare” sul tetto di una Topolino il peso della statua di
parlante di
Madama Lucrezia (1955).
Lo spirito della ricerca
geometrica attraversa l’intero arco dei lavori in esposizione, anche se nelle
25 opere degli anni ’50 e ’60 si scorgono con maggior chiarezza i valori
formali e compositivi, rafforzati dall’affascinante sedimentazione del tempo.
Quel
nunc che Benjamin
aveva tanto chiaramente enunciato – quale contrassegno dell’opera d’arte –
nella sua coniugazione con l’
hic, qui fortemente espresso dallo straordinario
genius
loci della
metropoli.
L’abilità nel notare il soggetto,
studiarlo e organizzare l’inquadratura seguendo il proprio intento narrativo è un’attitudine
assolutamente istintiva in Erwit, dal momento che rifugge a priori filosofie e
idee precostituite. Lo dichiara apertamente nella bella intervista recentemente
rilasciata a Manuela del Leonardis proprio in occasione della mostra romana.
Queste singolari capacità non
sfuggirono a
Robert Capa, che lo invitò ad associarsi alla Magnum Photos, di cui divenne
membro dal 1953. Per la storica agenzia, alla quale hanno collaborato i
maggiori interpreti della fotografia contemporanea, Erwitt continua tuttora a
lavorare su progetti di tipo giornalistico e commerciale. Nei suoi innumerevoli
servizi da freelance per i magazine
Collier’s,
Look,
Life e
Holiday non perde mai di vista la
commedia umana, più volte raccontata anche attraverso il rapporto con gli
animali e in particolare i cani, che non mancano neanche nell’esposizione
romana.
“
Puoi trovare immagini ovunque”, afferma. Basta essere
ricettivi, aver occhi per la speranza e non per i preconcetti. E infatti, a ben
vedere, in quell’autoritratto i suoi occhi sono in realtà due fiori di campo.
Quelli che arricchiscono l’animo di chi sa coglierli. Come gli istanti
incantati colti da Erwitt.