Ad otto anni dalla scomparsa di Federico Zeri, Roma rende omaggio al celebre critico organizzando una mostra di Franco Cilia (Ragusa, 1940), artista, scrittore e regista. L’incontro tra i due ha rappresentato un sodalizio importante per il pittore e i suoi percorsi lavorativi, ma soprattutto ha suggerito la direzione di ricerca in cui Cilia è impegnato dagli anni Novanta: le dissolvenze. In un passaggio dalla forma al puro colore. Nascono così le tele, qui esposte, che hanno come soggetto il cielo; non come mero attore in posa o paesaggio da riprodurre en plein air, ma come un Io narrante che parla del proprio dinamismo, che mette sulla tela tutto il malessere, la ricerca, il tormento. “Agli inizi degli anni ‘90 il mio io profondo diventò nuovamente centro della mia ricerca, come una sorta di magnete che faceva affiorare tutto quanto proveniva dai livelli più misteriosi del mio malessere” racconta Cilia. Forte l’influenza di Turner, ma l’artista guarda anche a Goya e all’espressionismo tedesco alla Nolde, uno Sturm und Drang caratterizzato da forti esplosioni di colore e di luce. I temi sono l’infinito, il sole, le stelle, l’alba, i colori e le ore del giorno e della notte. Nel caso di Infinito troviamo poi lo stesso soggetto ripetuto in serie al variare dei toni e degli umori fino a diciotto volte. Il cielo visto come luogo metafisico, al di là del tempo e dello spazio, diventa persino scenografia per canti danteschi, come nel caso di Paradiso canto XIV o Inferno canto V e canto IX. E qual migliore pretesto se non la bufera del cerchio dei Lussuriosi che travolge e costringe a vagare in eterno una delle coppie più maledette della storia della letteratura come Paolo e Francesca?
I quadri in mostra, una quarantina di acrilici, sono stati realizzati tra il 1997 e il 2006 e hanno come filo conduttore “lo sguardo verso e oltre l’orizzonte”. La ricerca profonda intorno all’Io nasce negli anni Sessanta, per concentrarsi poi negli anni Settanta sulle pitture di Goya e sugli angoli nascosti della psiche. Degli anni Ottanta è invece il ciclo Cilia è morto, substrato essenziale della ricerca che lo ha condotto al ciclo delle opere in mostra. L’artista dipingeva e scriveva di morte, arrivando ad accorgersi di non aver mai amato tanto la vita e gettando così le basi della sua nuova ricerca, liberando il proprio malessere.
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