La personale di
Alessandro Busci (Milano, 1971) intitolata
Cor-Ten approda nella Capitale, dopo l’ultima tappa di Torino, dove la mostra è stata allestita negli spazi dell’ex Arsenale.
Busci caratterizza la propria opera a partire dal materiale, il cor-ten appunto, un tipo di acciaio usato come supporto per la sua tecnica a smalto, applicato con perizia certosina mediante pennelli giapponesi. Il punto di partenza è quindi lo stesso di
Richard Serra, che però, seguendo i dettami della Minimal Art, lasciava che fossero gli agenti atmosferici a ossidare la superficie metallica, mentre Busci sfrutta procedimenti chimici che sembrano riavvicinarlo alla figura dell’artista-alchimista, che maneggia colori e materie vive e reagenti.
Suo mentore anche in quest’occasione, come autore dei testi del catalogo, è Flavio Caroli, relatore della sua tesi in Storia dell’arte. Lo stesso Caroli lo spinse a partecipare alla prima collettiva, nel 1996.
La formazione di architetto di Busci emerge nella scelta dei soggetti: simboli culturali tanto di un’antichità classica (
Colosseo_Arancio, 2008) quanto di un presente all’avanguardia (
Beijing, 2009), icone della modernità (
Bilbao, 2008) rivisitate grazie alla particolarità del cor-ten, in grado di creare un effetto ruggine senza effettivamente corrodersi, e ridisegnate in punta di pennello in toni arancio, quasi che gli edifici stessero affogando nel fuoco.
È la materia stessa a evocare scenari post-industriali e fabbriche dismesse (
Power Station, 2008), indagati in insistite variazioni sul tema, che acquistano senso e prospettiva grazie alla molteplicità dei toni: rosso – lo stesso dell’apocalittico cielo di
Panoramica_Roma (2009) -, indaco e bianco. Un bianco che ricorda la biacca usata negli schizzi dei grandi maestri rinascimentali e che suggerisce e tratteggia appena linee immediatamente riconoscibili, che con un gesto “fanno” il quadro, come nel caso di
Campetto di calcio (2009), con una porta aperta sul nulla in uno scenario da Grand Canyon.
L’opera di Busci necessita di grandi spazi con i quali dialogare e in cui stemperarsi. La First Gallery glieli offre e dedica due intere pareti a
Luna Bianca, quasi un collage di aerei, carta da parati e schizzi di colore, per uno dei pochissimi lavori in mostra dipinto su tela e riportato su tavola; e ad
Appunti (2008), una visione spezzettata in una miriade di cartoline, che ritrae il paesaggio degli anni 2000.
Busci, quasi un novello
Pierre Henri de Valenciennes, realizza un’installazione che si raggruma per poi espandersi nei quattro punti cardinali, trascurando la prevedibile unità e rincorrendo mille “impressioni” volanti su ferro.