Se tradizionalmente il termine natura morta è stato utilizzato per indicare rappresentazioni di forme e oggetti inanimati, e se l’evidente implicazione simbolica era ribadita dall’assunzione di un valore allegorico come immagine della transitorietà della vita,
Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943), partendo da queste premesse, trasgredisce la struttura statica di quella stessa tradizione pittorica, descrivendo una realtà in movimento e soprattutto in continua evoluzione.Dopo anni di assenza, il ritorno a Roma di uno dei principali esponenti dell’Arte Povera è segnato dalle grandi dimensioni delle sculture e delle installazioni ambientali che ripropongono il concetto di natura morta in chiave processuale, dilatando l’ottica bidimensionale di
Caravaggio,
Cézanne o dello stesso
Morandi, per raggiungere la tridimensionalità.
Così, come se l’aristotelico transito da atto a potenza risultasse incoraggiato, l’artista riflette sull’entità del tempo reale, in un dialogo silenzioso e inesauribile fra l’universale e il mondo fenomenico. Con alcune installazioni già compiute in sé stesse e altre che richiedono trasformazioni grazie all’incontro con gli elementi -soprattutto il fuoco o il ghiaccio- in un processo continuo di modificazione e sviluppo dell’opera.
La mostra è introdotta da
Pioggia, dove un assemblaggio di elementi -listelli, legni combusti, feltro, un motore- compone una
natura morta che valica il decesso, continuando un incessante processo vitale. Nella seconda sala, due installazioni creano un gioco di sguardi paradossali: a sinistra, un invitante paravento nasconde una presenza che viene rivelata soltanto in un secondo momento, mentre a destra un peluche sporge su un evocativo orizzonte celato dietro una porta. Infine, nell’ultima sala,
La casa ideale, un testo scritto dall’artista nel ‘69, ora viene poeticamente bruciata su una proiezione video.
Lasciando in secondo piano l’oggetto e il processo creativo, e coinvolgendo concettualmente lo spettatore, si svolge una sofisticata riflessione intorno ai meccanismi del vedere e soprattutto alla funzione del linguaggio, ridotta fino alla sua più estrema essenzialità. Un linguaggio che, al pari della realtà che descrive, si presenta come un’instancabile evoluzione e dinamismo.