“Sembrano fiori, invece sono mine…”, ha scritto qualcuno nelle pagine del guestbook il giorno dell’inaugurazione romana di Antipersonnel. Invenzioni contro l’uomo. Potrebbero sembrare addirittura caramelle, così vibranti negli involucri rossi e verdi, oppure oggetti di design seducenti nella loro veste d’acciaio satinato o di bronzo trafilato, con i numeri e le scritte in rilievo che odorano di dettagli ornamentali. Hanno perfino soprannomi allettanti come “vasetto di mostarda” (modello A200 – seconda guerra mondiale).
Invece, le circa 35 immagini a colori racchiuse nelle teche -idoli di un progresso disumano- sono proprio mine anti-uomo (AP). L’autore è Raphael Dallaporta, giovane fotografo francese (è nato nel 1980, vive e lavora a Parigi), conosciuto al pubblico romano per aver esposto – in occasione del Festival della Fotografia (2003) – i lavori Caravans e Le Signore di Noyant. A questo progetto, presentato al Festival di Arles 2004 nella sezione curata dal fotografo Martin Parr, Dallaporta lavora da almeno cinque anni (di cui un anno e mezzo solo per ottenere le autorizzazioni necessarie), ma l’idea nasce da un viaggio in Bosnia che fece a 18 anni, dalla vista dei campi minati e degli sminatori.
Di guerre, in giro per il mondo, ce ne sono tante e ci sono paesi che fanno business sulla pelle della gente. Negli Stati Uniti, in Russia e in Cina, ad esempio, si producono ancora mine anti-uomo, malgrado nel 1997 sia stato negoziato il Trattato Internazionale per la loro messa al bando. Se ne parla, certamente, ma raramente si vedono immagini fotografiche di questi ordigni. Si è sempre sottintenso l’oggetto in sé, soffermandosi sugli effetti. A chi non è rimasto impresso – nel film Viaggio a Kanhdahar – quel fotogramma in cui il cielo è gonfio di paracadute da cui pendono protesi – non uomini! – e la corsa dei mutilati per riuscire a accaparrarle?
Con la meticolosità dell’archivista, Dallaporta si documenta sull’argomento, fotografa, scheda e cataloga numerosi dei 350 diversi tipi di mine anti-uomo che sono stati realizzati in mezzo secolo di guerre, molti dei quali tuttora sul mercato: 33 paesi produttori (tra cui Italia, Israele, Germania, Yugoslavia, Francia), 58 paesi che vantano scorte di munizioni a grappolo e 92 paesi contaminati da armi inesplose.
“Antipersonnel, oltre che un lavoro documentaristico è soprattutto un lavoro teso alla sensibilizzazione della gente.” – afferma il fotografo, rispondendo alla domanda postagli da Marco Delogu, curatore della mostra, su quanto fosse interessato alla reazione della gente davanti alle sue fotografie – “Quello che mi interessa non è di scatenare sensi di colpa rispetto alla tematica trattata, ma di suscitare una reazione positiva rispetto all’argomento trattato e non rispetto alle fotografie in sé.” Raphael Dallaporta non giudica o non si aspetta giudizi, ma rimanda il problema all’osservatore che non può che prendere coscienza del problema.
L’iter della mostra si conclude con tre grandi fotografie a colori dal titolo Bianco. Realizzate nel mese di gennaio di quest’anno, queste immagini scattate per le vie di Parigi, non possono che essere scorci di vita. Che riscaldano la gelida implicita visione di morte delle mine anti-uomo.
manuela de leonardis
mostra visitata il 4 febbraio 2005
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