Astrattista appassionato di Balla e Caravaggio, autore dei dipinti del Memoriale italiano di Auschwitz, il cui nome è legato ad importanti studi sulla luce, l’energia, lo spazio e il tempo trasposti in ambito pittorico, Pupino Samonà, da oltre cinquant’anni, porta avanti una peculiare ricerca che combina arte e scienza, energia creativa e rigore geometrico, in un incessante susseguirsi di tessiture tra sogno e realtà.
Però, ahinoi, non è per niente facile imbattersi in una sua mostra, meno che mai antologica, assolutamente necessaria per ripercorrere le tappe fondamentali del discorso poetico di questo significativo artista, ancora poco conosciuto dal grande pubblico. Alla poca attenzione della critica e delle istituzioni, va aggiunto che, da anni, il Maestro di origini palermitane, da tempo residente nella capitale, rifugge le gallerie, che considera gestite da mercenari.
E’ anche per queste ragioni che l’esposizione al Bar del Fico sorprende, ma non solo. Ad accogliere il visitatore è “E.T. vagabondo ”, un simpatico omino stilizzato ma flessuoso, dall’aria svagata e curiosa, fluttuante tra universi differenti.
La mostra consiste in ventuno tele a tecnica mista collocate in un ordine sequenziale, che si dispiegano percettivamente senza soluzione di continuità. “Disegni di una grazia perfetta e disarmante“: così li ha definiti, nella presentazione all’esposizione, la scrittrice Toni Maraini, che da sempre segue la sua ricerca. Ma Samonà non li considera parte del suo “lavoro serio” e ama definirli come “un’ironica provocazione sovversiva ”. Eppure le vicende del tenero vagabondo sono più di un pregiato divertissement (e non appaiono così lontane, nella ricerca formale, dalle opere precedenti) e, soprattutto, confermano ancora una volta, l’apporto originale dell’artista palermitano nel panorama pittorico italiano.
rosanna gangemi
mostra vista il 14/12/2000
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