La gamma cromatica è limitata ai colori spuri -non-colori in realtà- come il bianco e il nero, a cui si aggiunge il verde. Non c’è una luce sentimentale, né un’espressione di gioia. I colori che Pietro Fortuna (Roma 1950) usa sono la manifestazione di un faticoso impegno fisico. “Quello che mi interessa non è di essere né felice, né stanco, piuttosto di mostrare le mani e dire che ho lavorato. Mi avvicino da sempre all’arte non partendo da una soluzione formale, ma da una preoccupazione di forte carattere etico. Queste immagini rigide, e anche il ripetersi dello stesso lavoro, creano e ricordano un ritmo vicino alla preghiera, per cui sono immagini che vivono dell’incolumità. Il senso è che ho le mani occupate, quindi non posso uccidere.”
L’arte, quindi, è strumento etico, testimonianza e, allo stesso tempo, costruzione formale. “Tutto è portato in superficie quasi per decretare l’essere stesso delle cose”, spiega l’artista, “il mio è un modo di lasciare le cose nella loro fisicità e cogliere l’aspetto testimoniale dell’osservare. Cioè far pulizia del senso. A mio avviso nelle società dell’occidente, che si sono macchiate di delitti enormi con l’olocausto, non c’è più spazio per dire. Nel lutto che viviamo le immagini non hanno più nessuna funzione, nessuna capacità. Non possono più promettere. Per cui la mia è una visione, un utilizzo sostanziale dell’arte, in questa sorta di lutto silente, in cui le cose vengono a crearsi nel loro essere, nel loro farsi. Un oggetto, perciò, occupa un certo spazio e lì fonda le proprie fondamenta, si autocelebra.”
Questo nuovo lavoro presentato a Roma -il titolo è Saulo– più che svelare implicazioni religiose, mostra connessioni con la filosofia, in particolare con le parole del filosofo e mistico tedesco Johannes Eckhart (1260ca. -1328 ca.), più famoso come Meister Eckhart.
Con spirito acuto, il Maestro Eckhart ha commentato l’episodio dell’accecamento di San Paolo (Saulo è l’antico nome dell’apostolo): quando, cioè, quella luce così forte gli avrebbe impedito di vedere le cose intorno a lui. Nell’interpretazione del mistico il visibile sarebbe diventato non visibile perché Dio, essenza di tutte le cose, nel suo manifestarsi sotto forma di luce accecante avrebbe cancellato tutto il resto. “Questa sembra più un’espressione estetica che mistica” -continua Fortuna- “Eckhart diceva anche che quella luce era tanto forte da non mescolarsi con nessun’altra cosa. Al di fuori di ogni lettura di carattere mistico, il percorso di questa mostra vuole affermare due principi: da una parte l’idea di alleanza, cioè stringere con dio, ma anche con gli uomini, un rapporto; dall’altra quella di mescolanza. Mescolanza e alleanza, insomma, sono i due poli. La mescolanza è la misura di lettura quasi fenomenologica delle cose, come il disegno che va verso il volume. Non attraverso un’operazione metaforica, piuttosto un’elaborazione fisica che si autotestimonia. L’alleanza, invece, è la mia preoccupazione etica di dover rivisitare continuamente il rapporto con l’altro.”
Infine, la presenza di scritte (quelle in tedesco sono citazioni di testi originali di Meister Eckhart) all’interno delle opere, oltre a quella più esplicita delle pellicole trasparenti, rimanda certamente ad un’idea tipografica, alle pagine di un libro. “Perché nella logica tipografica avviene che l’immagine viene prodotta rispettando il piano orizzontale. Fondamentalmente l’immagine è destinata, al di là di quello che può suscitare, come ad esempio la profondità, ad essere piatta.”
manuela de leonardis
mostra visitata il 24 febbraio 2006
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