Definirla una delle promesse dell’arte italiana è improprio. Margherita Manzelli, classe 1968, si è ormai affermata come una forte realtà nel panorama internazionale.
La sua personalissima cifra stilistica sembra dar nuova luce e linfa alla pittura che talvolta – come pure la scultura – pare adombrata dall’arte delle nuove tecnologie. E così dopo la Whitechapel e la Greengrassi a Londra – da cui vengono la maggior parte delle opere esposte a Roma –, dopo il Centre d’art contemporain di Ginevra e la Biennale di Istambul, ora il Maxxi le apre le porte dedicando una mostra alle sue fanciulle.
Creature longilinee, adolescenti seminude dalle posture solo apparentemente languide che nascondono un’anima inquieta: come sempre, sono queste le protagoniste delle tele –molte formato sopraporta (!)- della Manzelli, in una mostra che delude le aspettative di chi attendeva di vedere lavori nuovi. O almeno un’antologica –siamo in un Museo- composta accostando opere di migliore qualità.
Figure esili e sole che a tratti mostrano un fisico quasi nervoso e sfidano lo sguardo del visitatore, guardandolo fisso negli occhi con un piccolo ghigno disegnato sul viso.
È un tratto caratteriale che emerge solcando i volti: traduce –come un’espressione inconsapevole- i turbamenti e le inquietudini. Ed è allora che i connotati cambiano e le giovani diventano vecchie: la pelle avvizzisce, la freschezza, la luminosità, la solarità degli anni verdi viene meno, così i corpi non sono morbidi, dolci o rotondi, ma magrissimi e spigolosi. Anoressici. A sottolineare la condizione esistenziale anche lo
E’ tutto femminile il mondo della Manzelli, che come moltissime altre artiste fa del corpo il centro della sua ricerca. Ed è un sentire, o meglio un’esigenza improrogabile, quest’esplorazione e quest’ analisi ossessiva della propria identità, che passa per prima cosa attraverso l’osservazione dei mutamenti – naturali o artificialmente voluti – dell’aspetto esteriore, in primis proprio e poi altrui. E anche la grande formica al lavoro durante il vernissage – che rivela la tendenza spesso performativa dell’artista – finisce per rispecchiare l’anima e l’attitudine tipicamente previdenziale delle donne.
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bell'articolo!
ciao j
Un articulo estupendo.Lo transmito a mis alumnos de Historia del Arte.
Sergio