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Armory Show. Cent’anni e non sentirli?

di - 7 Marzo 2013

L’Armory Show compie cent’anni. O meglio, è passato un secolo dalla messa in mostra di quel ready made che trovò la sua fortuna, e ribaltò la storia dell’arte, in quella mostra che poi ha dato il nome alla fiera che oggi si svolge ai Piers 92 e 94 affacciata verso il New Jersey, dentro la metropoli più camaleontica del mondo. L’Armory-fiera non ha certo un secolo, e ha alternato momenti di fortuna e nuove rinascite. E oggi si rifà il trucco, con 200 gallerie divise tra Moderno e Contemporaneo provenienti da trenta Paesi, come vi abbiamo annunciato in una speednews, riportandovi anche i partecipanti italiani: non tantissimi nomi – undici, tre in più dell’anno scorso – tra i migliori del nostro panorama nazionale, da Continua a Monitor a Cardi Black Box.
Insomma, l’Armory in qualche modo ha resistito, superando la prova del triennio 2008-2011, anche se la crisi non è finita, nonostante dall’altra parte dell’Atlantico possa essere meno percepibile, rispetto all’endemicità che si respira in Italia. Il problema però è la concorrenza, e l’Armory Show di concorrenti, sul campo, ne ha uno abbastanza spaventoso: Frieze.
Quest’anno la fiera londinese tornerà alla conquista della Grande Mela per la seconda volta, con la promessa di sgranocchiarsi l’impossibile. Certo le gallerie a Frieze, in generale, saranno alcune di meno, e gli italiani confermati sono molti degli stessi che parteciperanno anche all’Armory: Lorcan O’Neill, ancora Continua e De Carlo, con Raffaella Cortese e Artiaco tra gli altri, che però non saranno a New York questa settimana.
Insomma, fin qui, almeno in “eccezionalità” di partecipazioni siamo 1 a 1. Il gioco, in fondo, è anche un po’ simbolico: il potere economico della fiera londinese, con la sua giovane storia di successo, cerca di rubare terreno alla vecchia N.Y.

Ce la farà, o si finirà anche in questo caso in pareggio? Frieze inizierà tra poco più di due mesi: un periodo troppo breve tra due grandi fiere nella stessa città? In qualunque altro posto del mondo sarebbe una follia pensare a due appuntamenti così ravvicinati, ma pensiamo (paragone un po’ tirato per i capelli, ce ne rendiamo conto) all’Italia: non intercorre molto di più tra Artissima e Arte Fiera, e nemmeno tra la fiera di Bologna e MiArt. Certo, si svolgono in tre città diverse, dove però tra l’una e l’altra a volte non corrono nemmeno 200 chilometri di distanza. Perché Frieze dovrebbe scoraggiare l’Armory o viceversa? In fin dei conti il mercato newyorkese, attraverso due manifestazioni “gemelle”, ma così differenti non può che trarre una sorta di boccata d’ossigeno per la sua economia, senza contare le differenze di location che rendono speciali sia Frieze, a Randall Island, a due passi dal Bronx e con vista su Manhattan in mezzo all’East River, e l’Armory, al porto, dall’altra parte della città.
Insomma, il colosso della perfida Albione non è detto che spodesti la Vecchia Signora che tanta gloria ha portato alla città: piuttosto sarà forse un modello di convivenza utile per un mercato che, se destinato a ripartire, ripartirà probabilmente da qui. O a marzo, o a maggio, ma sempre dalla città che più di ogni altra, oltre alla moda dell’esotismo e oltre ai grandi capitali dell’Oriente, rappresenta da sempre, inderogabilmente, un luogo favorevole all’arte e al suo commercio e sviluppo a livello planetario. Non è un caso che, oltre all’Armory, per questa manciata di giorni a New York debuttino altre nove fiere, tutte più o meno a distanza ravvicinata, dalla 23esima alla 66esima strada, se si escludono le due presenze a SoHo di Volta e della Spring/Break Art Show.

In compagnia dell’Armory quest’anno torna ADAA, all’Armory di Park Avenue: venticinque anni di storia, una partnership con AXA -esatto, quelli delle assicurazioni- e oggi 72 partecipazioni che vedono schierate le gallerie più in vista di tutti gli Stati Uniti, con la volontà di replicare i 20mila visitatori di media raccolti in questi anni.
Poi c’è Indipendent, la fiera dei no-profit di cui vi abbiamo raccontato recentemente per la sua impostazione a favore degli spazi colpiti dall’uragano Sandy, che ospiterà anche le due italiane Giò Marconi e Federico Vavassori da Milano, e c’è anche “Fountain”, un’installazione più che una fiera, dove venti grandi tele penderanno dal soffitto del 69th Regiment Armory, su Lexington Avenue, portando artisti di strada come Apolo Torres e Dark Clouds, musica in notturna e una fauna di hipster che sarebbe piaciuta agli anni ’80 di Tondelli. Torna per il terzo anno, al  Waterfront New York Tunnel, anche “Moving Image”, l’unica fiera dedicata solo ai video e alle video installazioni, che quest’anno metterà a disposizione anche un premio di mille dollari per il miglior artista emergente in mostra.
“New City” è invece una piccolissima fiera, anch’essa alla sua terza volta, dopo le puntate di Taipei e di New York lo scorso anno, che si compone di undici gallerie giapponesi di artisti contemporanei dell’Estremo Levante, mentre al Flatiron Hotel c’è spazio per “Pool”, un progetto per artisti non rappresentati da gallerie, che possono commerciare “al dettaglio”, mentre in un vecchio ufficio postale di Chelsea, Moynihan Station, torna Scope, con 55 gallerie internazionali e 20 emergenti che per la prima volta vengono proposte sul mercato internazionale.

“Spring/ Break” invece presenterà venti progetti di altrettanti giovani curatori che si sono confrontati con il tema del “New Mysticism”: semiotica digitale, Internet e la tecnologia in generale, insieme alle reliquie della cultura visiva del XX secolo saranno mischiate negli spazi di una vecchia scuola a Nolita, con conseguenze molto più umane di quanto non ci si aspetti.
“The (Un)fair” a Hell’s Kitchen è invece fuori dal programma della settimana dell’Armory: gli organizzatori affermano che si tratti di una “guerriglia in forma d’arte”, con fotografie, comici in azione, spettacoli vari e improvvisazioni. Chiude, a Manhattan, il giro delle manifestazioni ufficiali Volta, quest’anno a Mercer Street, a due passi dall’Armory, con 94 gallerie presenti da 38 Paesi del mondo e la speranza di bissare le 18mila presenze della scorsa edizione. E considerando la vicinanza alla “main fair”, con la quale sarà anche collegata attraverso una navetta, forse la speranza è destinata a concretizzarsi. Anche qui cinque italiani, di cui quattro da Milano: Federico Bianchi e Magrorocca, The Flat di Massimo Carasi, che abbandona Scope, dove aveva partecipato lo scorso anno, Laura Bulian e la genovese Guidi&Schoen, presente a Volta anche la scorsa edizione.

Non è finita, perché da Manhattan si passa a Brooklyn, che con Wagmag, la guida dell’arte del quartiere, e Pernod, ha concepito la Brooklyn Art Night di sabato sera, da Williamsburg a Buschwick, attualmente il quartiere con la più alta densità di residenti-artisti nella Grande Mela: una zona che come vi abbiamo raccontato in diverse occasioni risulta ancora un po’ dismessa, con il vero aspetto underground che poteva avere la vecchia Williamsburg prima della colonizzazione da parte dei giovani creativi in fuga da Manhattan, in cerca di un posto più economico da occupare e allo stesso tempo molto vicino alla frenesia costosa di New York.
Tutte le gallerie d’arte di Brooklyn apriranno le loro porte fino alle 22, con una serie di nuovi progetti, da The Boiler a Ventana244, fino a Interstate Project, NURTUREart e Regina Rex, proprio a Buschwick.
Il profilo qui è meno ingessato, e con The Art & Absinthe Guide to Brooklyn, sponsorizzata proprio da Pernod, si potrà vagare per il grande neighborhood senza perdersi, anche grazie ad app e mappe con GPS scaricabili con una perfetta integrazione di tutti i social media, in modo da poter far sapere a tutti i propri amici dove si è e cosa si sta vedendo.
Insomma, se non vi sembra “rete” questa; qualcosa dice che la settimana dell’arte newyorkese è ora. E a maggio mancano ancora due mesi.

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