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L’intervista/Davide Iodice | Ex-tra-volti dall’arte

di - 10 Aprile 2013
Prendi la faccia del vip e schiacciala al vetro. No, non è un’operazione contro la società dello spettacolo, ma un progetto politico firmato dal giovane Davide Iodice, classe 1980, che con la serie Extravolti si ribella contro lo status quo degli eventi che non accadono nel Belpaese. Quali? L’attenzione alla cultura, l’asfissia in cui è costretta a vivere l’arte, la mancata possibilità di sperimentazione dovuta alla complessità di una situazione politica, e di conseguenza economica, che ha azzerato fondi e costretto chiunque a “ridimensionare” o rinunciare alla voglia di fare. Extravolti è invece un grido di battaglia, visto attraverso la forma di una immobilità, in un classico bianco e nero, dove un manipolo numeroso di artisti, cantanti, musicisti, studiosi, filosofi, giornalisti, sportivi e personaggi dello spettacolo in generale ci hanno “messo la faccia” perché toccati dall’idea di poter fare qualcosa per denunciare, in maniera poetica e attraverso l’arte, lo stato di immobilità che attraversa tutta la penisola, ormai da diverso tempo, e che non accenna a dare tregua alla morsa “paralizzante” che porta con sé. Dalla A di Andy, ex Bluvertigo, alla R di Luca Ronconi, dalla V dello chef Giancarlo Vissani alla H dell’astrofisica Hack, alcuni dei personaggi che troverete ritratti qui e sul sito www.extravolti.it, vi raccontiamo attraverso le parole di Iodice come è nato il progetto, che domani debutta a Torino, a Palazzo Saluzzo Paesana. E che donerà i proventi della vendita del catalogo ad Emergency.
Come è nata l’idea di “Extravolti”?
«Extravolti è nata come sfida; volevo dimostrare e convincermi che ogni ambizione e progetto può, con la determinazione e con l’onestà essere concretizzato. Due anni fa durante una cena con amici, brindo all’idea di realizzare un progetto che denunci e proponga soluzioni per affrontare la crisi culturale Italiana; l’incredulità dei presenti di fronte alla difficoltà di una persona comune e non nota come me di convincere famosi artisti a “farsi schiacciare gratuitamente la faccia” ha dato il via a una sfida che oggi vuole essere a propria discrezione ed internazionale. All’inizio mi ero imposto di realizzare solamente 18 foto, sembrava un numero perfetto, poi quando mi sono accorto del potenziale del progetto e della quantità di artisti (e non) che desideravano sostenerlo, mi sono lasciato coinvolgere da una bulimia di scatti. Il progetto nato come un gioco, è diventato un’azione seria, aperta a tutti coloro che credono nell’arte e nella cultura».

Visto che si parla, nelle immagini, di “immobilità culturale”, e che il messaggio è una sensibilizzazione ai temi propri della cultura, quale spinta pensi servirebbe all’Italia per tornare a camminare nella giusta direzione?
«Premetto che tale progetto nasce e trova utilità solo con il coinvolgimento dei fruitori della cultura, nonché pubblico, operatori e artisti. Le foto sono un codice comunicativo artistico che vuole attirare l’attenzione; Extravolti avrà senso solo se il movimento genera proposte, idee, alternative, coerenza e spirito di cambiamento. Vuole essere uno schiaffo alle ignoranze che comandano le debolezze della gente, purtroppo sedotte da pregiudizi e sfiducia in un cambiamento sociale. Se dovessi rivolgermi agli “addetti della cultura”, credo che suggerirei di dare più fiducia alla sensibilità e alle idee dei giovani creativi, ma i” direttori” e la stessa società dovrebbero quanto meno liberarsi di pregiudizi culturali troppo legati al passato e avere più spirito di sperimentazione. L’arte e la cultura sono libere ovunque, con la differenza che in Europa e in tanti Paesi al mondo libertà vuol dire soprattutto possibilità. In Italia vuol dire soprattutto, e a volte solamente, sfida. Se dovessi rivolgermi ai giovani creativi come me direi di continuare a giocare con le proprie idee rimanendo coerenti con lo spirito sociale mixato agli ingredienti del loro progetto. Se dovessi rivolgermi ai politici, li inviterei a fare le foto con me!».
Hai coinvolto nel tuo progetto cantanti, artisti, filosofi, musicisti, studiosi, giornalisti. C’è stata una categoria, o qualcuno, con il quale è stato difficile collaborare?
«Assolutamente no, tutti hanno manifestato animo sensibile al progetto. In Italia molti artisti hanno voglia di rilanciare la cultura, pochi galleristi hanno davvero appoggiato il progetto, forse perché non volevo pagarli. Per fortuna esistono anche gli onesti».
A Torino “Extravolti” diventerà anche un progetto “Public”, dove tutti potranno prendere parte all’azione. Quali sono i tuoi modelli di riferimento nell’arte di oggi? Come associ la produzione visiva alla musica? E quali sono i punti di contatto?
«Il progetto sarà itinerante, proprio per dare possibilità e coinvolgere più gente possibile. Extravolti sarà un blog artistico, tutti devono e possono lanciare idee. Non sarò io ovviamente a realizzarle, ma l’interazione che si crea tra i blogger. I miei modelli di riferimento sono le persone coerenti, quelli che non dormono la notte per realizzare i loro sogni. Definire i miei spettacoli musicali delle performance poliedriche. In esse cerco di coinvolgere più codici comunicativi, visual image, performer, scenografi, cercando di creare con loro qualcosa che appaga non solo la mia direzione musicale, ma anche le loro idee. Trovo sia bellissima la co-produzione artistica, qualcosa che il desidero di ambizione personale ha fatto mancare un po’ tra alcuni artisti italiani. Mi ispiro a molti artisti della scuola berlinese, islandese e turca, oggi una officina dell’arte, cercando di guardare più i metodi di collaborazione e non i singoli artisti».
Il ricavato delle vendite di “Extravolti” andrà ad Emergency. Pensi che l’arte oggi debba essere più sociale che estetica? È finita l’epoca “dell’arte per l’arte”?
«L’arte è sociale. Generando emozioni sia positive che negative si creano obbligatoriamente dei feed-back nella persone che la osservano e la applicano nella quotidianità. L’importante e non legare solo troppa serietà all’azione dell’arte e lasciarsi convincere che il suo aspetto ludico genera azioni molto più efficaci della semplice critica. Ho deciso personalmente di donare il ricavato del catalogo della mostra in beneficenza per dimostrare come l’energia artistica trovi sempre un modo per trasformarsi in energia economica, in questo caso da donare a nobili intenti come quello di Emergency».
* © Max Bertoli, per la foto di Davide Iodice in copertina

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