Qatra Qatra, e le artiste afghane sono un fiume!

di - 12 Dicembre 2021

L’arte, indice di libertà d’espressione e di democrazia è temuta dai talebani: non abbiamo scordato le distruzioni di monumenti antichi del 2001, quando i fondamentalisti islamici hanno fatto esplodere i Buddha di Bamyan. E l’arte è ancora più blasfema quando sono le donne a dare libero sfogo alla propria creatività, poiché secondo la sharia, la legge praticata dagli islamici, è vietata la rappresentazione sia degli dei che della figura umana. Ancora più eretica è la rappresentazione della donna: il potere del sesso femminile è portatore di peccato, corruzione; una tentazione e distrazione dalle sacre scritture per l’uomo islamico. Il corpo femminile viene privato della sua identità, deve essere coperto dalla testa ai piedi, da confinare a casa e, se dipinta su muri, è da ricoprire con strati di vernice, come abbiamo visto fare mesi fa.
Nonostante il ritorno dei talebani a Kabul, però, le artiste afghane non si rassegnano e continuano coltivare la loro libertà espressiva per dare voce al loro fragile destino. Alcune si sono rifugiate all’estero, altre vivono nascoste in nel Paese, sapendo che il nuovo regime fondamentalista le cerca casa per casa e minaccia i familiari se non le denunciano.
Ma chi sono le artiste afghane, come vivono, come e perché non stanno “zitte e buone” e lottano per rivendicare il rispetto dei loro diritti universali violati e cosa faranno sotto il regime, non è facile saperlo.

Kubra Khademi, disegno per Female Crimes

Qualche risposta si intuisce con la mostra in questi tempi necessaria “ Qatra Qatra/Goccia a Goccia Visioni dall’Afghanistan” (inaugurata simbolicamente il 25 novembre, Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne, fino al 9 gennaio) a cura di Amanullah Mojadidi a Treviso, promossa dalla Fondazione Imago Mundi (nata nel 2018 ) nelle Gallerie delle Prigioni, ex carcere asburgico trasformato in un dispositivo di arte e cultura dall’architetto Tobia Scarpa, un “gioiello” architettonico di per sé.
Il progetto Imago Mundi Colletion, nato 10 anni fa da una idea di Luciano Benetton comprende 26 mila opere dal formato 10×12 cm di artisti di più di 160 Paesi e comunità native in tutto il mondo, con l’obiettivo di mappare le diversità delle culture umane per dare forma a una comunità creativa, tra cui spicca l’Afghanistan.
Untitled: Contemporary Art from Afghanistan, il progetto curato dall’artista e ricercatore Mojadidi che vive a Parigi, raccoglie 142 opere di autori, tecniche e linguaggi diversi, compresi pittori, calligrafi, miniaturisti, scrittori, cineasti, musicisti, poeti e artisti multimediali che documentano la straordinaria vitalità dell’arte di un Paese tormentato.

Imago Mundi Afghanistan, Fatima Haidari

Le artiste, e l’Afghanistan

La mostra “Quatra Quatra” presenta 4 artiste afghane, attraverso i temi dell’appartenenza, la politica dell’identità, il conflitto e la migrazione.
Il titolo della mostra prende ispirazione da un antico proverbio afgano: Qatra Qatra Darya Mehsha “Goccia a Goccia si forma un fiume” e inneggia alla speranza, pazienza e determinazione. Le artiste afghane qui esposte sono tutte di fama internazionale, coraggiose attiviste, contro le norme sociali e religiose imposte dai talebani, che lottano per l’emancipazione della donna.
Kubra Khademi (Kabul 1989), attualmente vive e lavora a Parigi e il suo lavoro si trova nell’edizione afghana di Imago Mundi Colletion (2013): è considerata una prostituta dal governo talebano. Illustratrice, performer, il suo lavoro riflette la condizione di donna e rifugiata insieme; è consapevole del valore del sé, del potere erotico femminile e della sua ricerca artistica. All’inaugurazione si è mostrata nuda e immobile, adagiata sul pavimento nella posa dei re delle antiche fiabe persiane, una ammagliatrice dagli occhi bistrati di nero simile a una divinità dai grandi seni, simbolo di fecondità e del potere femminile. L’artista trionfante nella sua sensuale bellezza, sfidava e dominava lo sguardo degli spettatori che la osservavano curiosi dallo spioncino della porta della cella. Khademi in questa ipnotica perfomace nel ruolo di un djinn, un misterioso connubio tra una strega e un folletto magico, entità ricorrente nel folklore islamico, ha affascinato tutti circondata da incensi, candele e una cornucopia di frutta fresca. Questa performances intitolata Femele Crimes, ideata dall’autrice per gli ambienti claustrofobici delle Gallerie delle Prigioni è accompagnata da 40 coloratissimi disegni incastonati dietro gli spioncini delle porte delle celle, che documentano femminilità, erotismo, sensualità e vitalità della donna, anche nelle azioni apparentemente ordinarie o innocue, comunque blasfeme per la mentalità talebana. Nel 2016 Khademi è stata insignita dal Ministero della Cultura francese dell’Ordine delle arti e delle lettere (Chevalier de l’Ordre des Arts et Lettres)

Lida Abdul, still da In Transit

Lida Abdul (Kabul , 1973), vive e lavora negli Stati Uniti dove ha studiato Scienze politiche e Filosofia e all’Università Belle Arti della California. Videoartista dal curriculum invidiabile, ha esposto anche alla Biennale di Venezia nel 2005. Abdul nel cortometraggio White House (La casa bianca), usa il bianco per dipingere ogni cosa, per simboleggiare la cancellazione del passato e la manipolazione della storia e l’impossibilità di ricostruire ciò che è andato perduto. L’autrice esplora in maniera poetica le conseguenze della guerra nel video In Transit (In Transito), attraverso una carcassa di un aereo da guerra sovietico, quasi simile a un uccello in volo, diventato oggetto di giochi infantili; le sue sono immagini suggestive in cui lo spettatore resta in bilico tra sogno e realtà, tragedia e magia.
Hangama Amiri (Kabul, 1989), vive e lavora negli Stati Uniti. È pittrice che sperimenta diverse tecniche e di recente la tessitura, attraverso la quale da voce al ruolo delle donne nella società. Espone Mariam Beauty Salon (Salone di Bellezza Mariam) e Jurnalist (Giornalista), opere che fanno parte di una serie volta ad esplorare le tradizioni tessili afghane con soggetti diversi introno agli standard di bellezza e i diritti delle donne nella società maschile e patriarcale. Le sue donne sono forti, orgogliose della loro bellezza e della loro autodeterminazione capaci di sfidare il conservatorismo islamico.

Hangama Amiri, Journalist

Rada AkBar (Kabul, 1988), artista concettuale e curatrice indipendente, utilizza l’arma della creatività come strumento contro la repressione, la misoginia e l’oppressione. Nel 2015 ha vinto la menzione d’onore del Premio Foto dell’UNICEF. In una cella espone una serie fotografica intitolata Invisible Captivity (Prigionia Invisibile): immagini in bianco e nero di volti e braccia come ingessati ricoperti da versetti del corano, attraverso i quali si cancella l’identità femminile. Immagini forti volte alla rappresentazione dei modi in cui le leggi religiose, la politica e la preponderante mentalità patriarcale della società afgana imprigionano le donne, private di ogni diritto e libertà. Si imprimono nella memoria le impronte digitali che si trovano sulle fotografie che rimandano a un modo usato dai tradizionalisti islamici ultraconservatori di controllare le donne private anche della loro identità dietro il burqa.

Mario Garcia Torres, still da Tea

Chiude o apre, chissà, tutto dipende dallo spettatore, l’imperdibile mappatura di un Paese frantumato sulle macerie vecchie e nuove, alle prese di un conflitto che nega di progettare il futuro, ma non di immaginarlo, il film Tea (Tè) di Mario Garcia Torrers, opera che rientra nella ricerca dell’autore dedicata alla vita di Alighiero Boetti (1990-1994). L’artista sulle tracce di Boetti ci pone filosofiche riflessioni personali sul senso del viaggio, della vita con divagazioni immaginarie, dimensioni metafisiche in cui ogni gesto, taglio di luce, dettaglio intreccia trame in bilico tra nostalgia e memoria di una Kabul che non c’è più, lacerata da decenni di guerre. Da vedere fino in fondo.
Per i più curiosi seguiranno un ciclo di incontri per approfondire i temi della mostra sulla condizione della donna nell’Afghanistan del nuovo regime, la diaspora di artisti e operatori culturali, la libertà di stampa con focus sul fotogiornalismo e la tutela del patrimonio culturale. Gli appuntamenti saranno in presenza e online, l’elenco è disponibile in questo link.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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Tag: Alighiero Boetti Amanullah Mojadidi fondazione imago mundi Kabul Mario Garcia Torres One Hotel Qatra Qatra / Goccia a goccia . Visioni dall’Afghanistan

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