Il progetto di Castellucci -fondatore nel 1981 della compagnia teatrale Socìetas Raffaello Sanzio, insieme con Claudia Castellucci e Chiara Guidi- rientra infatti in una visione estetica legata ad una concezione fortemente drammaturgica, che riannoda i fili del passato al presente, in un caleidoscopio che alla fine trascende i riferimenti da cui muove per divenire “altro”. Il recupero della Rethorica, intesa come ideologia della forma che permette una comunicazione universale, è alla base della concezione di questa installazione, concepita come una serie di momenti in successione, autonomi e al contempo strettamente interdipendenti. Non c’è nessuna discrepanza nel passaggio che Castellucci compie dalla scena teatrale alla ricerca puramente visiva: ciascuna è parte dell’altra, eppure diversa, così come il movimento che caratterizza il teatro è qui frammentato e sospeso, cristallizzato in oggetti che posseggono un potenziale deflagrante, compiutamente inespresso, e perciò ancora più potente e temibile nel suo segreto, improvviso e misterioso manifestarsi.
Il momento che precede l’accadimento raccoglie il massimo della tensione, l’acme dell’energia e del dramma. Così accade per le tre parole del titolo dell’installazione: “Mene, Tekel Peres”, le uniche parole della Bibbia, nel racconto del profeta Daniele, che, se lette, provocano una distruzione. Anche in questo caso è l’azione, il movimento a determinare il cambiamento sostanziale, dalla parola scritta, che ha in sé un pericolo quiesciente, a quella letta e quindi espressa vocalmente, fonte di catastrofi inenarrabili. L’enigma biblico si rivela per mezzo dell’agire umano, il pensiero invisibile e senza sonorità manifesta la sua forza attraversando gli eventi e trascinando con sé differenti forme di esistenza. Il senso del rito rintracciato nei passaggi in successione lega come un filo invisibile le varie “stanze” in cui è suddivisa l’installazione di Castellucci, che realizza una costruzione iconografica della Rhetorica, fedele ad una propria collaudata concezione estetica.
Il percorso ha inizio appunto con “Mene Tekel Peres”, dove tre uova fecondate sono state incapsulate in altrettanti lacci emostatici. La ripresa di una simbologia, quella dell’uovo, già presente in numerose opere del passato, (ad esempio in alcune madonne con bambino di Piero della Francesca), e in culture lontane, come allegoria di morte e nascita, carica ancora una volta l’oggetto in sé di molteplici rimandi, interrogandosi sul mistero dell’esistenza e legando la sacralità ad una estrema e necessaria fisicità. Nella seconda stanza, “Annunciazione”, sulla parete è raffigurato un tondo con il volto di Dio dipinto da Masaccio nell’affresco della Trinità a Santa Maria Novella a Firenze. Sul pavimento un altro cerchio ospita la scritta “ave”, formata da colonie di batteri dell’apparato genitale femminile, che dall’invisibililità giungono alla visibilità per mezzo della scrittura. Nel terzo passaggio, “Deposizione”, davanti ad una piccola toga dell’Alta Corte, un proiettore rimanda al muro l’immagine che un microscopio, posto accanto alla toga, sta ingrandendo: sono alcuni batteri della peste, infinitamente piccoli e terribili messaggeri di morte. La sospensione e l’irrisolutezza sono sottese alle stanze quarta e quinta, rispettivamente “Chartago delenda est. Ginnastica del midollo”, dove un ariete romano celato dietro un velario oscilla con moto perpetuo, e “Humpty-Dumpty. La tomba del retore”, in cui un uovo sterile è covato dentro una incubatrice. Ancora più avanti, un sarcofago-che ha come modello quello eseguito dal Canova per il monumento funebre dell’Alfieri in Santa Croce- trasuda un fluido, che muove una serie di cilindri. E’ “Onan. La tomba del poeta”. Il percorso termina con i due “movimenti” de “Il teatro del mucoso”. Qui un bassorilievo raffigura un putto armato di freccia con nell’altra mano un coniglio morto. In una seconda formella è segnato il tracciato cifrato di questa caccia. Nel frattempo un arco meccanico di precisione scocca una serie di frecce, sensibilizzato dalla presenza umana. In questo labirinto della mente, dove si è dispersa visivamente anche la circolarità, creazione e distruzione si inseguono incessantemente, guidate da un mistero che assume le forme più svariate e indecifrabili, tra fragilità estrema e incontenibile potere.
Paola Nicita
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