C’è qualcosa di inquietante, un che di malato-acido-insano, in queste foto di Maurizio Ruggiano (Palermo, 1966). Che pure in qualche modo parlano di amore, di infanzia, di memoria, di piacere. Inquietanti ed inquiete, esse paiono al contempo rimanere ingenue. E qui probabilmente sta la loro forza, in questa ambiguità emotiva che traspare.
Questa probabilmente la loro forza, questa l’ambiguità emotiva che traspare. Potremmo dire che quella di Ruggiano è un’ossessione buona e contorta per gli oggetti. Primi piani, frammenti, dettagli: sono tutte immagini invadenti, ostentate, che parlano un linguaggio diretto ed essenziale. Sono foto di piccole e medie dimensioni, alcune in
I soggetti sono bambole vecchie, sporche, rotte, sono giocattoli trovati in angoli inconsueti, protagonisti di strane situazioni, e ancora facce-maschere di vecchie marionette del Teatrino dei Pupi, o reperti inessenziali del quotidiano (cotton fioc sudici, pezzi di carta, un insetto morto finito dentro a una scatolina di plastica…). In una parola rifiuti, rottami, cose consunte. Oppure sono corpi, anche brutti, eccessivi, senza contegno, corpi di omosessuali, lesbiche, transessuali: emanano una sessualità violenta, dichiarata, cruda. Ma in qualche modo coperta da un candore disarmante. Ogni slancio voyeuristico è assente.
I temi del sesso e del travestitismo, che ricorrono con costanza nel lavoro dell’ artista, introducono quell’approccio erotico mantenuto nei confronti di tutto l’esistente: è un erotismo delle e nelle cose, che guarda alla differenza, alla mescolanza, all’ibrido, e alla loro potenza. Una poetica del relitto dunque, dell’oggetto perso e ritrovato.
Parla Ruggiano, in alcuni suoi brevi versi, del “…bisogno di un simbolo, simbolo legato a un’idea (…). Trasferisco il mio pensiero all’oggetto per mantenerlo vivo fuori da me, per non dimenticare”.
Accanto a immagini dotate di maggiore forza, da cui traspare una più consapevole intenzione e che risultano pertanto formalmente più “concluse”, altre immagini appaiono non del tutto risolte: deboli, traballanti. E, nel complesso, forse troppo materiale è stato messo insieme, in un allestimento un po’ caotico e approssimativo che sacrifica la coerenza stilistica dell’insieme.
helga marsala
mostra visitata il 29 ottobre 2003
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