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Il turbolento MOSE. Dopo l’incidente arriva la stangata per l’ex assessore Renato Chisso

di - 1 Settembre 2017
Qualcosa si muove sotto al MOSE e non si tratta di correnti salubri. È stato reso pubblico un incidente che, pare, sia accorso qualche tempo fa ma rimasto riservato fino a ora. In questi giorni, infatti, è stata montata una camera iperbarica che consentirà di ripristinare un cassone alla bocca di porto di Chioggia, una delle basi da 16 mila tonnellate, scoppiata per la pressione troppo alta del calcestruzzo. L’operazione costerà circa 10 milioni di euro e farà aumentare il ritardo nella consegna della grande opera, iniziata nel 2003.
Un errore umano sarebbe alla base dell’incidente, che ha coinvolto il cassone di alloggiamento numero 8, l’ultimo a essere stato affondato nella bocca di porto a fine agosto 2014. Per stabilizzare il manufatto, furono pompate sott’acqua alcune tonnellate di calcestruzzo, che avrebbero dovuto sostituire la sabbia del fondale. Ma per un calcolo sbagliato la sabbia è rimasta al suo posto, creando una eccessiva pressione che, alla fine, ha fatto letteralmente esplodere il cassone. Per il momento, la capitaneria di porto ha anche emesso un’ordinanza che limita il transito di navi e pescherecci in bocca di porto, disponendo anche manovre di accompagnamento da parte dei rimorchiatori.
Nelle stesse ore, una nuova stangata si è abbattuta su Renato Chisso, vecchia conoscenza del partito socialista, tra i berlusconiani della prima ora, assessore delle infrastrutture e dei trasporti alla Regione con Giancarlo Galan e Luca Zaia. È arrivata la sentenza della Corte dei Conti che, dopo il patteggiamento a 2 anni, 6 mesi e 20 giorni e una confisca di 2 milioni di euro, come deciso dal Tribunale di Venezia, ha condannato Chisso al pagamento di 5 milioni, 376 mila 156 euro e 42 centesimi, a titolo di danno di immagine e di disservizio causati alla Regione. Per la magistratura contabile, Chisso ha incassato le tangenti del Mose secondo tre diverse modalità: attraverso uno stipendio ammontante a 250 mila euro all’anno, per 9 anni, attraverso pagamenti episodici ma regolari e, infine, con versamenti emergenziali legati a singoli problemi da risolvere.
Le accuse sono state mosse da Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, per il quale a luglio è scattato un maxi-sequestro da 21 milioni di euro, da Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani, società già nel centro del mirino per le indagini su Expo, e da Claudia Minutillo, ex ad di Adria Infrastrutture. Il problema, a questo punto, è capire come Chisso possa ottemperare al pagamento, visto che il tesoro dell’ex assessore, per il momento, è solo presunto e non ci sono proprietà sulle quali avviare azioni esecutive. La Procura di Venezia dovrà cercare più a fondo.

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