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L’enigma del tuffatore. Spazio Paestum ripropone la storica mostra di Gillo Dorfles

di - 7 Gennaio 2019
Unica testimonianza della pittura greca a grandi dimensioni non vascolare, la Tomba del Tuffatore (480/70 a.C.) è importante anche per il soggetto rappresentato: un giovane nudo che si tuffa nell’oceano, immagine pregnante e metaforica del passaggio dalla vita alla morte. I greci avevano una visione molto negativa dell’aldilà, solo nel V secolo a.C. si diffusero nuove idee basate sulla speranza di una possibile forma di sopravvivenza dopo la morte. Se il tema è tratto dal mondo greco, l’uso di decorare con pitture le pareti delle sepolture deriva dal mondo italico ed etrusco, quindi è probabile che la tomba sia stata creata per un abitante di Paestum, forse un iniziato ai culti misterici. Nelle pareti della tomba, a cassa litica in lastre di travertino, sono rappresentate delle scene di un simposio mentre sulla lastra di copertura è dipinto il tuffo simbolico che il defunto compie nel momento in cui abbandona il mondo terreno per raggiungere quello dei morti.
Il mare diviene simbolo del richiamo all’aldilà che si concretizza nella rappresentazione dell’abisso, del confine e, soprattutto, del passaggio ultraterreno. Il tuffo è la rappresentazione mistica e simbolica della morte e della rigenerazione, quale momento chiave nel percorso del defunto verso un’altra vita. La piattaforma da cui si lancia, allude al confine del mondo e limite della conoscenza umana. Anche lo specchio d’acqua verde-azzurro, con il suo orizzonte curvo e ondulato, rappresenterebbe l’orizzonte metaforico e illimitato in cui poter liberare l’anima e purificarsi. L’infinito diviene così luogo di transito verso un mondo di conoscenza e di ritorno alla vita. In tutta la storia dell’arte, la simbologia ha saputo scavare in profondità, consegnandoci messaggi complessi e metafisici che l’occhio indifeso e distratto della realtà non può cogliere.
La Tomba del Tuffatore, dopo essere stata esposta nel 2015, per 6 mesi, presso il Museo Archeologico di Napoli e, ancor prima, all’Expo di Milano, è stata successivamente restaurata ed è ritornata quindi a Paestum, dove mancava dal luglio del 2015. Per l’occasione e per celebrare il 50mo anniversario dal ritrovamento, compiuto da Mario Napoli il 3 giugno del 1968, a “Tempa del prete”, una località a circa due chilometri da Paestum, sono stati organizzati diversi eventi. Il parco archeologico di Paestum, diretto da Gabriel Zuchtriegel, aveva già intessuto “L’immagine invisibile. Dalla Magna Grecia a De Chirico”, mentre ora, sul tema del tuffatore, è stata presentata una anti-mostra, visibile allo Spazio Paestum fino al 6 di gennaio 2019, dal titolo “Il Tuffatore di”, una nuova edizione della mostra a cura di Gillo Dorfles che, vent’anni fa, il MMMAC-Museo Materiali Minimi d’Arte Contemporanea produsse e organizzò, con diciotto artisti invitati a intervenire su una serigrafia del Tuffatore, nella quale erano stati riprodotti solo la cornice, gli alberi, il mare e il trampolino, senza quindi la figura del giovane, dando libero spazio alla creatività degli artisti: Altan, Enrico Baj, Bruno Brindisi, Renato Calligaro, Crepax, Enzo Cucchi, Pablo Echaurren, Giuliano, Pietro Lista, Marco Lodola, Ugo Nespolo, Mimmo Paladino, Tullio Pericoli, Mario Persico, Gianni Pisani, Staino, Emilio Tadini, tutti diversi per stile e poetica ma legati dalla relazione con un’opera pittorica unica al mondo. E oggi si aggiunge un’opera inedita, creata da Gillo Dorfles, legato da tempo a Paestum, a Salerno e al pittore Pietro Lista, promotore attivo del dibattito artistico-culturale negli anni Settanta e Ottanta con l’attività prima della galleria Taide a Salerno e successivamente del MMMAC. (Sandro Bongiani)

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