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Prove di dialogo tra arte contemporanea e sacro. Nella laicissima Milano e con una grande banca a lanciare l’idea

di - 16 Aprile 2014
“Oltre. Le soglie dell’invisibile” è il nuovo appuntamento che si è inaugurato oggi a Milano nell’ambito del Progetto Cultura di Intesa Sanpaolo (a cura di Andrea Dall’Asta e Francesco Tedeschi). Tema impegnativo, rilanciato su tre sedi espositive: le Gallerie d’Italia, che ospita normalmente la collezione di Intesa Sanpaolo, la galleria San Fedele e la chiesa San Fedele.
La sfida non è da poco. In un mondo sempre più laico, agnostico se non addirittura ateo, dove l’arte gioca il suo ruolo di acceleratore del processo di secolarizzazione, qui si assiste al tentativo di esplorare le tensioni verso il trascendente che apparterebbero all’arte di oggi. Ciò che si apre, quindi, almeno come spinta, al di là di ciò che è dato. E l’inizio di questo viaggio verso le eventuali radici non empiriche della visione non può che essere affidato a Lucio Fontana, l’artista che è andato “oltre” la tela tagliandola con determinazione.
Ma Fontana è anche l’artista che con i suoi bianchi ritmati dai tagli e i colori che quasi evaporano in un pulviscolo cromatico e di “buchi” evoca un rigore, un’asciuttezza del gesto che non appare trascendente ma fortemente radicato (e rivendicato) su questa terra. Lo stesso rigore, concettuale e gestuale, che si ritrova nell’opera di Nagasawa, una colonna spezzata di marmo, tendente verso l’altro, dall’equilibrio instabile, miracolosamente eretta ma anche dichiaratamente rinunciataria nella sua tensione al cielo. Alle Gallerie d’Italia l’esplorazione dell’invisibile continua con le opere di Burri, Santomato e Sironi in un vis-à-vis con alcune icone orientali.      
Alla galleria San Fedele, invece, la tensione verso la trascendenza appare meno risolta nel confronto tra una serie di ex voto e alcune opere di Mimmo Paladino, mentre al piano superiore il dialogo tra Ettore Spalletti e una pala quattrocentesca risulta più riuscito. Nella Chiesa, infine, una corona di spine realizzata da Claudio Parmiggiani si mimetizza perfettamente tra gli arredi dell’altare.
Scommessa vinta? In realtà la domanda è fuori luogo. Perché, come in quasi ogni collettiva, il tema è pretestuoso e a fare la differenza sono le scelte curatoriali. Le opere, l’allestimento, i rimandi che si possono istituire tra opera e opera. E qui la partita si gioca in ambienti piuttosto rigidi e potendo spaziare tra le opere di una collezione bancaria (di tutto rispetto, per carità) più qualche prestito.

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