Nelle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, palazzo barocco nel centro di Vicenza e sede di Banca Intesa che già espone collezioni di icone russe e pittura veneta XVIII secolo (da Pietro Longhi a Carlevarijs a Francesco Guardi) fino al 10 ottobre sarà in mostra l’ultima opera di Caravaggio, Il Martirio di sant’Orsola o, secondo il titolo di un inventario genovese del XVIII secolo di casa Doria, La sant’Orsola confitta dal tiranno.
Il recente restauro ha confermato l‘attribuzione del dipinto a Michelangelo Merisi (1573-1610), che Mina Gregori aveva ipotizzato nel 1974, oltre a restituire le dimensioni originali e rivelare il particolare della mano della santa dove prima appariva solo il manto. I riscontri di documenti archivistici hanno svelato che esso fu realizzato a Napoli nel 1610, dove Caravaggio si era fermato dopo la fuga da Malta e dalla Sicilia per eludere il mandato papale, e che era destinato al principe genovese Marcantonio Doria che l’artista aveva conosciuto a Roma. Da una lettera del procuratore locale del committente è risultato inoltre che l’inconsueto soggetto fu scelto in onore della figlia avuta dalla moglie del Doria in un precedente matrimonio, poichè la ragazza era entrata in convento assumendo il nome della martire.
Nell’opera non appaiono le undicimila vergini della Legenda aurea di Jacopo da Varagine ma solo l’essenziale, la sintesi di un momento sospeso e teatrale in cui il dramma è già consumato e la santa è trafitta dalla freccia del principe unno rifiutato. Tra i cinque personaggi, nell’uomo a bocca aperta alle spalle di Orsola, si scorge l’autoritratto dell’artista, condannato anche lui a morte ma dal bando capitale del papa.
Accompagnano l’esposizione un percorso didattico con approfondimenti sul tema iconografico di sant’Orsola, sulle fasi di restauro e sulla committenza e un documentario sulla vita del Caravaggio. (stefania portinari)
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