Mircea Cantor, 2020, courtesy l'artista
Si chiude oggi con la performance inedita di Mircea Cantor (1977, Romania) The Sound of my Body is the Memory of my Presence il festival INDA – Istituto Nazionale del Dramma Antico, che come ogni estate si è svolto al Teatro Greco di Siracusa, quest’anno con il titolo Per Voci Sole / For Solos.
È la prima volta che l’area archeologica del Teatro ospita l’intervento performativo di un artista contemporaneo, in questa occasione Mircea ha coinvolto gli studenti dell’Accademia del Dramma Antico, progettando una performance site specific concepita ad hoc, che ha coinvolto gli allievi dell’Accademia del Dramma Antico in una sorta di rituale a forte impatto simbolico per celebrare il ritorno alla vita, – ha spiegato l’organizzazione – e ha immaginato una speciale ambientazione, lavorando sulla simbologia del suono e della voce umana come primordiale strumento.
«Dopo la performance, Lucia Lavia, Anna Della Rosa e Galatea Ranzi annunceranno la prossima stagione con alcuni brani tratti da Baccanti, Ifigenia in Tauride e Le Nuvole. La serata comprenderà anche la partecipazione straordinaria in video di Piera Degli Esposti e la consegna a Eva Cantarella del Premio Eschilo d’oro alla carriera», ha annunciato l’organizzazione.
Con questa parole Mircea Cantor, Premio Duchamp 2011, ha spiegato la performance pensata per il Festival INDA:
«Oggi più che mai, in un momento così delicato e imprevedibile, tendiamo a guardare al passato e a come l’umanità abbia affrontato le catastrofi. Tendiamo a capire come sia possibile sopravvivere, nonostante si affrontino periodi bui; come l’essere umano resista, si adatti e lotti per la propria sopravvivenza. E più si riflette su questo aspetto, più diventa chiaro che il punto di partenza della rinascita da tempi bui e complicati sia proprio l’essere umano, la sua volontà di tornare a fiorire. E questa rinascita, nel corso del tempo, è stata possibile soprattutto grazie all’arte, alla musica, al teatro, alle arti visive, al cinema, alla poesia.
Sono convinto che la creatività umana sia il miglior vaccino in questi tempi difficili.
Per questa ragione, quando penso a una performance, una delle condizioni indispensabili sono il corpo e la presenza dell’essere umano. È così che ho iniziato a riflettere sull’idea di suono e in particolare sulla voce umana; su come questo incredibile dono della natura sia stato sempre presente nel corso della storia: quando si eseguivamo rituali per gli dei, quando esprimevamo gioia per il raccolto e quando piangevamo per i nostri antenati. La voce umana è stata da sempre il primo “strumento”.
La mia riflessione mi ha portato a voler associare lo “strumento” della voce a qualcosa che potesse far risuonare questo strumento e le idee attorno ad esso. Ed è per questa ragione che i miei pensieri e le mie riflessioni mi hanno spinto a immaginare una campana, una grande e sovradimensionata campana. Questo oggetto bello, misterioso e al tempo stesso semplice è onnipresente, sin dall’antichità, in tante culture, e assume tanti significati diversi per innumerevoli culture.
Riguardo alla performance che metterò in scena al Teatro Greco di Siracusa, una parte importante è la coreografia che vedrà coinvolti gli allievi dell’Accademia d’arte del dramma antico della Fondazione Inda. I loro movimenti non solo apriranno nuovi orizzonti, ma racconteranno, soprattutto, come la memoria diventi concreta solo attraverso l’incontro e la vicinanza tra le persone e in particolare, attraverso movimenti ripetitivi che sono condivisi e modellati proprio dall’incontro.
Memoria significa avvicinarsi all’altro, vuol dire sentire la pelle, la voce dell’altro, osservare i suoi occhi, toccare la sua pelle.
Dopo essere stato invitato a mettere in scena una performance al Teatro Greco di Siracusa, dalle mie meditazioni e dalle mie riflessioni si è fatta sempre più strada l’idea che la bellezza del corpo umano, della sua voce, e un oggetto come la campana possano fondersi; che l’unione del suono della campana e della voce umana insieme possano produrre un nuovo tipo di musica, mai ascoltata.
Una musica che guardi con le orecchie e ascolti con gli occhi».
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