Inizia da un vagone merci dei primi del Novecento, qui adibito a bookshop, e dall’installazione a forma di locomotiva in scatoloni assemblati di
Saverio Todaro il viaggio dentro le ottocentesche Officine Grandi Riparazioni. Un tempo fabbrica per la manutenzione dei treni, sono state poi dismesse vent’anni fa, parzialmente recuperate e finalmente restituite alla città. Adesso, in attesa di diventare il tanto agognato centro cittadino per le arti e la cultura (si parla di prossima sede espositiva delle collezioni della Gam), si riflette, con la mostra
Torino 011 – Biografia di una città, sui cambiamenti fisici, sociali ed economici succedutisi dagli anni ’80 a oggi, all’ombra della Mole.
Calpestare la superficie di oltre 6mila metri quadrati, all’interno della manica nord dell’edificio “ad H” delle Ogr, significa attraversarne un’intera storia fatta di abbandono e di certi suoi usi illegali, come i rave party o le occupazioni abusive dei senzatetto, testimoniati da un murale, graffiti sparsi e sfumate colorazioni a spray, ancora visibili su alcune pareti. Tutte zone messe ora in sicurezza (alcune non direttamente accessibili), ma pur sempre luoghi di un’architettura in rovina che proprio per questo dovrebbero essere preservati nel loro affascinante degrado.
Per il momento è la mostra a dominarne la scena, con un allestimento costellato da “
condensatori di processi economici e culturali”, secondo le parole di Carlo Olmo, curatore insieme ad Arnaldo Bagnasco, usate per definire quelle aree di Torino ad alto tasso di trasformazione, oggetto della stessa. Così, racchiusi dentro stanze-contenitore, ci sono interi quartieri a raccontarsi, per esempio a partire da un pavimento mappato con la cartina di Mirafiori per individuare gli spazi recentemente nati fuori e dentro questa
città fabbrica; oppure, utilizzando la videoproiezione dei gemelli
Gianluca e Massimiliano De Serio, sui cantieri in corso d’opera alle Spine 3 e 4, per farne motivo di discussione delle politiche di integrazione sociale. C’è anche una videoinstallazione di
Luca Pastore a documentare una Torino però avveniristica, persa fra immagini reali e computergrafica.
Ma il nostro viaggio non finisce qui. Perché, appena dietro le Ogr, si stagliano le coeve ex Carceri Le Nuove. Una struttura concettualmente inflessibile che, in occasione di una delle mostre più importanti del
Torino World Design Capital, si è adattata a un tema vastissimo come quello della
Flexibility.
Declinata in varie forme da nove studi di designer internazionali, invitati dalla curatrice portoghese Guta Moura Guedes a creare in piena libertà installazioni site specific per i suoi bracci di detenzione maschile e femminile, ha seguito essenzialmente due filoni: quello della sperimentazione dei materiali e l’utilità sociale. Nel primo rientrano gli abiti colorabili autonomamente di
Fernando Brìzio, mentre al secondo è ascrivibile la proposta di arredo urbano di
Giulio Iacchetti, una panchina ribaltabile che, all’occorrenza, si trasforma in riparo per la notte.