Il critico americano Lars Nittve afferma che l’arte di Los Angeles è difficile da spiegare, perché assomiglia alla città medesima: è eterogenea, multidimensionale, invadente ed evasiva al contempo.
Martin Kersels (Los Angeles, 1960) s’inserisce in quest’ambito culturale e artistico, che sfugge a una classificazione standardizzata. Utilizza diversi linguaggi espressivi – video, scultura, performance – in modo non conforme alle regole, con franchezza e ironia. Sostiene che l’umorismo suggerisce sempre vivacità e, anche se lo spettatore non è sicuro di dover ridere, si sente emotivamente eccitato.
La formazione di Kersels avviene dunque all’interno di un complesso tessuto culturale, nel quale un ruolo importante è stato assunto da artisti quali
Chris Burden e
Paul McCarthy (dei quali è stato assistente),
John Baldessarri e
Sam Francis, e si concretizza negli anni ’80 in spettacoli alternativi insieme al gruppo degli Schrimps. Filo conduttore del suo percorso è la parola ‘fat’, grasso, che – a partire dal riferimento alla fisicità dell’artista stesso – denota un universo di grandezza, di eccessi, e pone in primo piano le dissonanze.
Nel progetto della mostra, il riferimento è a un’icona della musica, Iggy Pop, l’artista che, nonostante l’età, riesce a coinvolgere sempre folle idolatranti di giovani. L’installazione, costruita intorno a questa figura-culto, assume come leitmotiv il diamante, pietra preziosa per antonomasia, in contrasto con quanto è vile e grezzo. E diventa la metafora della vita segnata dal successo durevole, contrapposto alla situazione effimera di quelle star che sono destinate a scivolare in breve tempo nell’oblio.
Lo spettatore cammina tra immagini fotografiche in bianco e nero che documentano tappe e momenti topici della celebrità. Sul pavimento, una base rossa regge jeans foderati di lustrini luccicanti, dai quali, a intervalli regolari, fuoriesce una musica assordante. Sopra una vecchia valigia è collocato un diamante che ruota su se stesso, dispensando all’intorno una raggiera luminosa. Il percorso si chiude con un teatrino, sedie disposte davanti a una pedana sulla quale è appoggiato uno sgabello in legno, privo di un piede, rovesciato, con un’accetta conficcata sulla sommità.
La sera dell’inaugurazione, Kersels, disteso sullo sgabello a ventre sotto, colpiva ripetutamente il legno con l’accetta, sino a rompere l’equilibrio dei sostegni, così da mostrare la precarietà della sua postura. Nel corso della mostra, il teatrino ospiterà inoltre diverse performance, in base a un calendario non predeterminato, assecondando in tal modo le disposizioni dell’artista.