Se proprio si dovesse cercare un filo conduttore per ricondurre all’unità la natura di questa nuova mostra presso la Galleria Tucci Russo, sarebbe senz’altro il concetto di spazio a farla da padrone.
Spazio da intendersi come costruzione mentale di un mondo parallelo nell’enorme installazione ambientale di
Giulio Paolini (Genova, 1940; vive a Torino) che, nella sua personale intitolata
Quadri d’autore, presenta tutte opere realizzate nel 2009. Opere poste accanto a riquadri disegnati sulle pareti, che simulano un continuo cambio di prospettiva e annullano la distanza tra superficie e osservatore, instillando l’illusione di poter entrare fisicamente in una nuova dimensione.
Spazio poi come fuga verso l’infinito di una vetta montuosa o della cima di un grattacielo newyorkese nelle due serie di fotografie di
Paolo Mussat Sartor (Torino, 1947),
composte da lavori inediti di grande formato dal titolo
La Montagna (2006) e
La città (2009).
In questo caso, sogno e memoria sono le parole chiave per avvicinarsi a questi paesaggi sospesi tra la fredda precisione dello scatto fotografico e il calore che solo la pittura riesce a infondergli. Perché le pennellate di colore a olio, nei toni del nero e del grigio, stese con le dita direttamente sulla superficie della stampa e utilizzate per far emergere la figura dal buio dello sfondo, sono ormai una costante a partire dal 1985, quando i soggetti più diversi, dai semplici ritratti alle nature morte, fino ai particolari di rose, gambe, pietre, subiscono una posteriore patinatura. Come se Mussat Sartor volesse aggiungere una propria personale esperienza e, allo stesso tempo, togliere o nascondere allo sguardo la verità di un fatto, per dare sfogo alla pura immaginazione.
Una sperimentazione di poco successiva alla fase del
Che fare (1984), qui in mostra in una saletta in cui convivono alcuni pezzi della collezione del gallerista (stampe artistiche di
Thomas Schütte con le opere di
Gianni Caravaggio della serie
Scenario uno) e dove la fotografia riflette sulle sue reali possibilità espressive, dopo il lungo periodo di documentazione delle azioni degli artisti dell’Arte Povera.
Si ritorna infine alla razionalità del concettuale con i
Luoghi (Places) (2009) di
Jan Vercruysse (Ostenda, 1948; vive in Europa Occidentale). Qui ogni descrizione oggettiva della realtà è bandita, a favore di una totale immersione nell’astrazione mentale, dove un candido pianoforte in gesso, ridotto ai minimi termini, non è più tale ma diventa
Memoria capace di trattenere nel presente qualcosa di già trascorso.
Monumento a questa conoscenza che vi è scaturita e
Momentum intermedio fra l’atto e la sua materializzazione, cioè l’opera finale (
M), di cui viene esposta in quest’occasione la
M11.
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