Il progetto
Transport+ dell’Associazione Culturale Passaporto, nel suo terzo appuntamento espositivo, conferma la sua vocazione a essere, per i giovani artisti italiani, trampolino di lancio per futuri approdi più istituzionali, una volta prodotta
in loco l’opera site specific. Lo dimostra la personale di
Fabrizio Musa (Como, 1971; vive a Como e New York), inserita tra gli eventi
off dell’appena concluso
XXIII Congresso Mondiale di Architettura UIA Torino 2008 e prossima a diventare il tassello di una mostra più ampia, questa volta dedicata all’indagine più estesa dell’architettura di
Mario Botta, qui solo accennata.
In
Santo Volto.txt, infatti, l’attenzione è tutta rivolta all’unico edificio realizzato in città dall’architetto ticinese: una chiesa a pianta eptagonale, rivestita esternamente di mattone rosso, con annessa la ex ciminiera delle acciaierie riconvertita a torre per sorreggere la croce, posta a simbolo del vecchio e del nuovo utilizzo. La Chiesa del Santo Volto di Torino, ora sede della sua Arcidiocesi, non è altro che la cerniera tra il passato industriale della zona periferica dove tuttora sorge -la cosiddetta Spina 3- e il suo attuale ruolo di pedina nel processo di riqualificazione urbanistica in corso.
Un attore importante, di cui Musa coglie il lato estetico-visivo, concentrandosi, nel dipingere il proprio murale sulla parete centrale di 500 Art Garage, su un dettaglio ravvicinato e ingrandito della ciminiera, evidenziata solo dalla struttura elicoidale. Un cordone metallico dentellato che diventa potente segno grafico, in grado di astrarre e smaterializzare la pesante costruzione di Botta.
“
Musa lavora sulla luce come io lavoro sull’organizzazione dello spazio architettonico”, ha recentemente dichiarato l’architetto. “
Riporta ad esempio nel suo bianco e nero i risultati delle ombre nate dal contesto tridimensionale dell’opera. Ed è per me una sorta di verifica della ‘tenuta’ dei miei lavori”.
Come se a ricondurre tutto all’essenzialità della forma bidimensionale fosse stato lui stesso, ma inconsapevolmente, o attraverso i bozzetti schizzati con piglio veloce e Musa li avesse solo resi espliciti col suo fare pittorico. A suo modo materico, soprattutto quando stende diversi strati di colore sulle tele per poi ricoprirli completamente o solo in parte, fino a risalire allo scheletro dell’immagine della chiesa, ripresa da ogni angolazione possibile.
Prima fotografata, poi scannerizzata, in modo da ridurla a puro documento testuale (txt), infine tradotta in pittura attraverso un meccanismo di sottrazione delle forme e di forti contrasti tonali, suggeriti proprio dalle linee solide e rigorose dell’architettura di Botta. Così possente, nella sua successione di pieni e di vuoti, da ricordare vagamente quella di
Giuseppe Terragni, che l’artista comasco ha omaggiato, con un suo caratteristico
wall painting pixelato, in occasione del suo centenario dalla nascita, nel 2004. Ora, con Botta, l’indagine continua.