Una fermata dell’autobus deserta, sotto una luce pomeridiana; un porto dove tutto sembra essersi fermato; scorci di binari su cui non passa nessun treno, di stazioni dove non parte e non arriva nessuno… E’ la pittura di Pier Paolo Maggini (Gibo), un milanese che ha scoperto a Roma – città in cui si è trasferito all’età di 22 anni – la capacità della luce di trasfigurare le cose, anche quelle più umili.
In questa sua nuova personale Maggini presenta una serie di lavori in piccolo formato, esposti in sequenza come la pellicola estratta da una bobina cinematografica e la cui essenziale cornice nera ricorda il telaio delle diapositive. Effettivamente questi ambienti di periferia, spesso sulla linea di confine tra città e campagna, riportano alla mente il cinema di Antonioni e di De Sica. La fotografia è invece un mezzo tecnico fondamentale, utilizzato per mantenere il distacco emotivo dai soggetti rappresentati. Gli scatti sono eseguiti dall’artista, spesso durante viaggi in treno; dopo un processo di abrasione egli dipinge con l’acrilico direttamente sulle stampe, eventualmente ingrandite (non è il caso delle opere presenti in questa personale tutte realizzate a partire dai “classici” formati 10×15 e 12×18). In questa fase decisamente analitica Maggini
Il paesaggio, è colto in quell’atmosfera sospesa tipicamente domenicale. Della figura umana si percepisce in qualche modo l’immanenza, ma è fisicamente assente eccezion fatta per i lavori che raffigurano gli stadi, dove è presente come massa indistinta. Eppure la luce in qualche modo riesce a sublimare il senso di solitudine che pervade queste immagini – che ricordano un po’ quelle del realismo esistenziale (uno dei referenti principali è certamente Giuseppe Banchieri) – manifestando la sua capacità di portare la bellezza laddove non c’è che degrado e desolazione. Ed è ancora la luce a generare un caleidoscopio di colori dai rifiuti di una discarica o dalle cassette abbandonate di un mercato, ad inverare esteticamente una concordia discors capace di ricondurre ad unità le differenze senza estinguerle, bensì esaltandole.
Sembrano trovare conferma le parole di Roberto Grossatesta, filosofo la cui speculazione, pur distante dalla poetica realista di questi quadri, è totalmente incentrata sul mistero della luce e sulle sue proprietà. Egli, nel pieno del “buio medioevo” riconosceva entusiasta che “aggregando e unendo e armonizzando le cose alla sua unità, la luce è ciò che al massimo grado dona la bellezza e la manifesta”.
luca vona
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