Ad accogliere il visitatore in questa personale di Gal Weinstein -la prima di una serie di mostre che la galleria dedicherà a giovani artisti israeliani- troviamo un’enorme scultura-installazione in polistirolo, gesso e acrilico, che occupa circa metà dello spazio espositivo. Vi è rappresentato un giocatore di golf al disopra di un terreno del quale possiamo osservare la sezione trasversale, e quindi i differenti strati geologici di cui è costituito. Un lavoro enigmatico e certamente “d’effetto” per chi si trovi a passare davanti alla vetrina della galleria, in una via del centro storico torinese.
Più intima l’atmosfera che si respira oltrepassando quest’opera e trovandosi di fronte ad una serie di dieci quadri -otto di medie e due di grandi dimensioni- raffiguranti animali in primo piano o a figura intera. A prima vista sembrerebbero realizzati in carboncino, ma ad uno sguardo ravvicinato rivelano di essere formati dall’aggregarsi con densità più o meno maggiore di una sottile peluria. Weinstein opera infatti passando una spugna di alluminio su una superficie bi-adesiva; ne risulta una figurazione fortemente realistica, tanto per il virtuosismo tecnico quanto per il materiale adoperato, che trasmette l’illusione di potere accarezzare il vello degli animali.
Nell’antico Israele, come è noto, vigeva un rigoroso divieto di plasmare immagini d’uomini o altre creature, fondato sul primo dei comandamenti consegnati a Mosé nella teofania sul monte Sinai. Eppure l’intera storia di questo popolo, dall’episodio del vitello d’oro narrato nel libro dell’Esodo, alla tormentata genesi delle composizioni sacre di Arnold Shoenberg, sembra attraversata dalla tensione fra il tentativo paradossale di esprimere l’inesprimibile -anche a costo di un depauperamento del significato- e la scelta deliberata di tacere del tutto, dettata dal timore verso una prescrizione divina o dalla consapevolezza di un’effettiva impossibilità di superare la contraddizione.
Certo quella di Weinstein è un’arte che nasce in un Israele che è ormai uno Stato prevalentemente laico, ma uno Stato pur sempre tormentato da guerre e conflitti di matrice religiosa.
Così questa serie di lavori sembra voler restituire l’innocenza riconosciuta al regno animale dal pensiero occidentale, fortemente radicato –nonostante la secolarizzazione e il neospiritualismo dell’epoca moderna e contemporanea- nella cultura biblica. Già l’espressionista Franz Marc aveva risposto agli orrori della guerra ponendo al centro della sua pittura il tema del regno animale. Se però i toni idilliaci dei lavori di Marc testimoniano un desiderio di fuga dal reale e il ripiegamento in uno spiritualismo panteista, i quadri di Weinstein s’inscrivono in una poetica da sempre attenta al tema della manipolazione nel rapporto fra uomo e natura. Si assiste così alla trasposizione, sul piano estetico, di un’idea di ascendenza biblica continuamente riaffiorante nella storia dell’Occidente, dal Rinascimento alla nostra era biotech. Quella dell’uomo come vertice e coronamento della creazione, unica creatura chiamata dal creatore a imporre il nome ad ogni essere vivente, ovvero a esercitare su di lui la propria signoria.
Un privilegio, ma anche una tremenda responsabilità, capace di condurre l’uomo e l’intera natura verso la distruzione definitiva. Ma gli animali di Weinstein sembrano alludere a una sorta di clonazione buona. Capace di creare la vita, a partire proprio da un materiale inorganico e industriale come l’alluminio.
luca vona
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