I modernisti guardavano al futuro. Con impeto e bramosìa si avventuravano nei territori della sperimentazione linguistica e formale. Al momento una nuova generazione di artisti provenienti da tutto il mondo sembra essere animata dai medesimi slanci. Incalzata dall’impellente necessità di trovare un’alternativa alla perdita d’entusiasmo, al disincanto e allo scetticismo del post modernismo. E in favore di un’unicità desiderata e riscoperta, nonché della valorizzazione della diversità.
Nonostante gli innumerevoli significati attribuitigli, è possibile ricondurre il termine moderno alla consapevolezza di appartenere ad un periodo di rinnovamento. Per questo, in tema di arte contemporanea, il modernismo va inteso quale attitudine al nuovo, spinta propulsiva verso ricerca e sperimentazione, volontà di abbattimento delle convenzioni e dei confini. Ed oggi, nell’era digitale, sembra che i tempi siano finalmente maturi. Allestita nella celebre Manica Lunga, l’esposizione dimostra come i moderni moderni si avvalgano delle tecniche e dei linguaggi più diversi. Include installazioni, sculture, video, dipinti, contributi sonori (da segnalare la sound section curata da Anthony Huberman).
Ventidue gli artisti invitati dalla curatrice Carolyn Christov-Bakargiev: Haluk Akakçe, Ricci Albenda, Massimo Bartolini, Elisabetta Benassi, Tacita Dean, Tom Friedman, Liam Gillick, Arturo Herrera, Evan Holloway, Brian Jungen, Jim Lambie, Daria Martin, Julie Mehretu, Jun Nguyen-Hatsushiba, Jorge Pardo,
Rivestiti di nuovi significati, gli oggetti della quotidianità sembrano svolgere un ruolo determinante. 32 sedie in fibra di vetro realizzate a mano costituiscono La pila nera di Simon Starling. Uniti tra loro da nastro adesivo, decine di cerchietti per capelli compongono AC/DC di Jim Lambie. Facendo sapientemente interagire design ed architettura, Jorge Pardo esegue opere d’arte che si trasformano in spazi abitativi, sculture che divengono arredi. Io e la mamma (1990) riporta proprio
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