La metafora del filo conduttore, nel caso di questa personale di Ada Mascolo (Torino, 1970), è innanzitutto un eufemismo. In primo luogo perché fra gli acquerelli su carta arches, le tavolette di cartone telato e la grande tela in seta il tema ricorre, diremmo quasi che il racconto si snoda; in secondo luogo, ciò che l’artista torinese sollecitare è proprio la linearità, vagheggiando uno strappo di quel filo di memoria ariannea.
Si potrebbe così leggere l’operazione di Mascolo come una destabilizzazione dello sguardo del visitatore occasionale, ma anche di chi interpreta da tempo la sua opera. Poiché assai spesso se n’è fornita una lettura “consolatoria”, debole nel senso del “pensiero” di vattimiana memoria e dell’omonima caratterizzazione del genere femminile. Cambiando radicalmente prospettiva, l’installazione dal titolo A 360° attirerebbe a sé le consuete posizioni critiche, per poi scardinarle dall’interno, con una grazia dia-bolica. L’intera operazione avviene sotto il segno della tensione fra coppie di opposti che stridono solo a una seconda lettura, per poi -ancor più a “fondo”- originare una sublimazione visiva. Altrimenti detto, si assiste a un’opera che apparentemente è stabile, mentre in realtà è basata su un equilibrio precario che si regge su un reticolo di opposizioni interconnesse.
Si potrebbe iniziare osservando la dinamica instaurata all’interno di ognuno dei piccoli acquerelli lavorati al gesso, e quella che si sviluppa all’interno del quadrato di 81 lavori che essi formano. Dove a intersecarsi sono realtà e sogno, quotidianità d’uno studio e onirismo di un volo, natura rappresentata dai vegetali che nascono sulla cultura abitativa esemplificata da elementi d’arredo e mattonelle. Il risultato clamorosamente felpato è una sospensione delle coordinate spazio-temporali che avviene non per astrazione, bensì per accumulo. Per questo l’angolo giro del titolo è sì un’indicazione riferita a uno spazio totale, ma pure alla circolarità temporale. Il contesto de-lineato in tal modo non può dunque essere inteso come neutro sfondo per la figura femminile, che lo abita ma anche ne sfugge, o meglio vi galleggia all’interno come se le leggi fisiche in esso vigente fossero sospese à jamais. Il collasso categoriale si propaga agli aspetti tecnici, per cui ad esempio il tratto pare farsi cromìa e viceversa, e non è un caso che Ada Mascolo prediliga proprio l’acquerello, che smussa i confini in maniera tutt’altro che patologica. Al termine dell’indagine cede quindi l’opposizione tra narrazione e forma, poiché se è innegabile una certa sequenza fra le decine di tavolette, la seta e gli acquerelli su carta, essa è il frutto di una decisione assunta dall’osservatore, anche e soprattutto a causa di elementi formali che eterodirigono la visione stessa.
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