Ci sono dei luoghi che sembrano escludere pregiudizialmente ogni accadimento, ogni evento anche minimo; luoghi che non possiamo collegare a nessuna emozione, a nessun pensiero, a nessun momento importante o trascurabile della nostra esistenza. In questi posti non viviamo, transitiamo; li attraversiamo senza vederli, li occupiamo senza abitarli.
L’ascensore ne è un esempio significativo. Nell’ascensore non si è: si sale o si scende. Nell’ascensore non succede mai nulla, ma quando succede qualcosa, è sempre qualcosa di eccezionale. Nel cinema, per esempio, l’ascensore o non esiste o si blocca; oppure è il teatro di furiose scene di sesso.
Ovviamente, non è sempre così: a volte la vita entra nell’ascensore, nella forma di un incontro determinante, della siringa abbandonata nell’angolo, dell’adesivo o del graffito che cercano di renderlo meno anonimo, dell’improvvisa intimità che lega per pochi istanti due estranei. Ma si tratta, sempre, di qualcosa che inizia prima, o che si conclude altrove. La vita è assente negli ascensori di Stefano Bruna: luoghi astratti, cabine monocrome e vagamente claustrofobiche, la cui estraneità è accentuata dai toni carichi e dallo spessore del cristallo che si interpone fra lo spettatore ed alcune delle fotografie. Il luogo della memoria che più si avvicina a questi interni freddi non appartiene all’esperienza comune, se non, ancora, attraverso la finzione cinematografica: è l’interno delle astronavi, con le loro pareti lucide, l’illuminazione artificiale, l’assenza di una vita che non sia liofilizzata. Gli ascensori di Bruna hanno molto in comune con le astronavi: la sensazione di trovarsi in uno spazio privo di gravità, abitabile solo dopo un durissimo addestramento, e solo a patto di sbucare, a tempo debito, in un altro luogo, che valga il sacrificio cui ci siamo sottoposti. Si riconfermano, quindi, come luoghi di transizione, e, pur nella loro immobilità, come oggetti in movimento.
Così lo spettatore, come l’artista, rimane sulla soglia, testimone di un viaggio che non sarà lui a compiere. E di cui non saprà mai se si è trattato di una salita o di una discesa.
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