Il lavoro di
Enzo Esposito (Benevento, 1946; vive a Milano) rappresenta una concreta seppur enigmatica e peculiare forma di dialogo, di racconto segreto, senza però l’impiego di simboli o figure archetipiche riconoscibili, di immagini estrapolate dal quotidiano.
L’artista campano utilizza, infatti, un tipo di approccio astratto e aniconico, ovvero che non si serve di indizi iconografici, emblemi e sagomature rievocatrici che possano suggerire la foggia di un oggetto o le curve di un’anatomia. Attraverso seduzioni visive danzano narrazioni accattivanti e atipicamente dirette, sbocciano affinità elettive immediate. Improvvise e inspiegabili, se non con il senno di poi.
Le sue storie private nascono da vibranti impulsi emotivi, ma i racconti non sono decodificabili se non nella loro sorprendente armonia, semplicità, musicalità. La comunicazione è intessuta nel segno carico di significati primordiali, nel suo incontro con uno squarcio acceso di blu o incandescente di rosso, all’interno di un anfratto generato da una piegatura.
Linee, digressioni, ombre e curvature, pennellate corpose e campiture sgargianti circoscritte non sono frutto del caso o di un gesto fortuito, concitato e febbrile.
Innesti, rughe, scalfitture e sovrapposizioni derivano, al contrario, da un attento studio, al fine di raggiungere un equilibrio perfetto di forme, cromie e interventi grafici. I colori talvolta sono smaglianti, in contrasto, ma mai si percepiscono dissonanze o stridori.
La pittura, come sempre dovrebbe accadere, diviene così un’esperienza biunivoca: l’artista crea l’artefatto e lo spettatore è incitato a confrontarsi con esso, a muoversi per seguire con lo sguardo le fuoriuscite di superficie dal perimetro che funge da basamento. Tali prolungamenti possono tradursi in protesi percettive del pensiero, ma anche dello stesso dipinto, dotato di forza vitale autonoma.
Le opere in mostra, tecniche miste su cartone e cartoncino intelato e datate 2007-2008, si espandono sia lateralmente nel senso letterale del termine, mediante inserti materici, sia frontalmente, per mezzo di prorompenti esplosioni di vivacità stilistica e in virtù dell’energia profusa dagli accostamenti cromatici che, paradossalmente, irradiano un senso profondo di stabilità.
Attraverso i piani verticali si aprono brecce, finestre, spiragli. Carboni, pigmenti, colla, polvere di marmo, compensato, porzioni versatili e permeabili di carta si stratificano e si addossano, si compenetrano e si annidano. Attecchiscono, andando a occupare esattamente il loro posto, ben definito e immutabile.